A cura dello Studio Legale Avvocati

R. Rambozzi – D.L. Riccardi – M. Marengo

 

 

 

 

CLASS ACTION

prima parte della disposizione normativa

 

Dal 1° gennaio 2010 sarà operativa la class action nel settore pubblico; è quanto previsto dallo schema di Decreto Legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 15 ottobre 2009 che da attuazione alla riforma Brunetta (Legge 4 marzo 2009, n. 15) in materia di efficienza della pubblica amministrazione.

La class action pubblica, a differenza di quella privata, non è rivolta ad ottenere il risarcimento del danno ma al ripristino dell’efficienza del servizio pubblico.

Lo scopo dell’azione è quello di garantire la tutela giurisdizionale degli interessati nei confronti delle Amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici che si discostano dagli standard di riferimento.

 

commento

ART. 1 (PRESUPPOSTI DELL’AZIONE E LEGITTIMAZIONE AD AGIRE).

“1. AL FINE DI RIPRISTINARE IL CORRETTO SVOLGIMENTO DELLA FUNZIONE O LA CORRETTA EROGAZIONE DI UN SERVIZIO,”

L’inciso, indica la finalità della legge e precisa immediatamente che non si tratta di un’azione ordinaria di condanna con carattere risarcitorio, che non si tratta di un’azione meramente dichiarativa, e che non é di un’azione costitutiva nei confronti della p.a. – Appar,  un’ordinaria azione ordinaria di accertamento soggetta alla giurisdizione amministrativa, con i medesimi rimedi (l’ottemperanza), già conosciuti dall’ordinamento.

“I TITOLARI DI INTERESSI GIURIDICAMENTE RILEVANTI ED OMOGENEI PER UNA PLURALITÀ DI UTENTI E CONSUMATORI”

La disposizione pare introdurre un riferimento ad un istituto già  noto al diritto amministrativo, il c.d. interesse diffuso, anche se le successive specificazioni contenute nel comma 4, inducono a pensare ad un approccio peculiare.

Per opinione giurisprudenziale ormai risalente, possono essere riconosciuti come titolari di posizioni giuridicamente rilevanti e meritevoli di tutela, non solo i titolari di interessi individuali oppositivi o pretensivi nei confronti della p.a., ma anche un insieme di soggetti che vantino, nel loro insieme, una posizione plurisoggettiva che l’ordinamento riconosca meritevole di tutela.

L’esempio scolastico di più agevole individuazione è quello dell’insieme di soggetti residenti in una determinata area, che si uniscono per la sua tutela, a fronte di un’azione da parte della p.a. -.

In linea generale, il singolo residente, non è riconosciuto titolare di un interesse giuridicamente rilevante a fronte dell’azione della p.a; quando tuttavia vi sia un concreto riferimento ad un territorio e questo faccia capo a più persone che con questo hanno rapporto (c.d. interesse diffuso), la giurisprudenza riconosce la legittimazione ad organismi costituiti che rappresentino la medesima posizione giuridica. L’esempio più ricorrente è la legittimazione riconosciuta al “Comitato” costituito a norma degli articoli 39 e seguenti del codice civile.

Il ricorso diretto a promuovere l’efficienza della p. a., infatti, ha per definizione lo scopo di evitare o a sanzionare il verificarsi dei c.d. “small claims”, cioè quei piccoli danni che comunemente non sono oggetto di richieste risarcitoria, perché difficilmente dimostrabili, o di valore minimo.

In altre parole, leggendo quanto scritto dal legislatore, si potrebbe ipotizzare che l’azione sia esclusa – ad esempio - per sanzionare il costante ritardo della p.a. verso più destinatari nel rilascio di certificazione perché questione bagatellare, o i dinieghi all’accesso agli atti procedimentali, perché aventi ad oggetto fattispecie eterogenee tra loro.

Allo stesso modo, potrebbe sembrare esclusa la tutela a fronte di un singolo servizio pubblico mal fornito o non erogato (ad es. autobus in forte ritardo o che salta una corsa).

I limiti di questa definizione così vaga, potranno essere fissati unicamente dalla giurisprudenza in sede di applicazione delle fattispecie concrete.

 “POSSONO AGIRE IN GIUDIZIO, CON LE MODALITÀ STABILITE DAL PRESENTE DECRETO, NEI CONFRONTI DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE,”

Sono titolari della legittimazione passiva, tutti gli organi dello stato diversi da quelli sotto indicati, e tutti gli enti pubblici, territoriali e non, economici e non economici.

“DIVERSE DALLE AUTORITÀ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI”,

Si tratta di un’esclusione soggettiva di non facile individuazione concreta. Il termine “amministrazioni indipendenti”, è riferito ad autorità amministrative in posizione peculiare rispetto agli ordinari rapporti gerarchici e funzionali che caratterizzano le amministrazioni statali e gli enti pubblici.

Si tratta di enti che svolgono solitamente attività paragiurisdizionale o di alta amministrazione, che hanno al loro apice personalità nominate generalmente da figure istituzionali. Nonostante l’intervento della legge 262/2005, che per la prima volta ha tentato di dare una definizione generale di alcune di queste soggettività mutuate dal diritto anglosassone, l’inquadramento giuridico ad oggi rimane incerto.

L’elenco contenuto all’art. 23 della disposizione normativa sopra indicata, cui si rimanda, non appare tassativo, ma meramente indicativo delle Amministrazioni indipendenti che operano nel settore bancario e finanziario.

In realtà, ed è ben noto, esistono numerose altre soggettività pubbliche inquadrate come Authorities, alle quali non sono direttamente applicabili le disposizioni della l. 262/2005.

Solo ad esempio, l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, Autorità Garante della concorrenza nel Mercato, etc. Ancora, fra l’altro, il recentissimo l’Organismo di controllo sulla p.a. istituito dal Decreto Legislativo approvato nella seduta del consiglio dei Ministri del 9 ottobre 2009.

Anche in questo caso, pertanto, appare probabile che le amministrazioni indipendenti escluse o meno all’azione, dovranno essere individuate dal diritto vivente.

Più difficile, individuare fin d’ora eventuali parametri di riferimento.

“DAGLI ORGANI COSTITUZIONALI E GIURISDIZIONALI, NONCHÉ DALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI”,

Poiché i soggetti sopra indicati sono portatori di indirizzo politico,l’esclusione di costoro dai soggetti passivi dell’azione è chiara, oltre che condivisibile

“E DEI CONCESSIONARI DI SERVIZI PUBBLICI,”

L’inserimento di una proposizione parentetica diretta ad individuare soggetti esclusi dalla legittimazione accanto al primo gruppo di soggetti inclusi (“diverse dalle autorità amministrative indipendenti, dagli organi costituzionali e giurisdizionali, nonché dalla presidenza del consiglio dei ministri”….), può generare non poche difficoltà di individuazione degli altri legittimati passivi. L’espressione e dei concessionari di servizi pubblici”, pare riferirsi infatti più ai soggetti esclusi che a quelli inclusi dalla legittimazione passiva.

La lettura delle disposizioni successive, però, fa sicuramente propendere per il contrario: i concessionari di servizi pubblici sono sicuramente soggetti contro i quali il ricorso per l’efficienza può essere promosso.

Risulterebbe altrimenti snaturato l’intero intervento legislativo e perderebbero senso logico le disposizioni successive del decreto.

 “SE DALLA VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI CONTENUTI NELLE CARTE DEI SERVIZI”

L’espressione riguarda sicuramente l’erogazione di pubblici servizi, poiché il riferimento agli obblighi contenuti nelle carte è chiaramente diretto ai concessionari di dette funzioni, a dimostrazione che l’apparente esclusione sopra ipotizzata, è frutto unicamente di pessima tecnica espositiva.

“DALLA VIOLAZIONE DI TERMINI O DALLA MANCATA EMANAZIONE DI ATTI AMMINISTRATIVI GENERALI OBBLIGATORI E NON AVENTI CONTENUTO NORMATIVO DA EMANARSI OBBLIGATORIAMENTE ENTRO E NON OLTRE UN TERMINE FISSATO DA UNA LEGGE O DA UN REGOLAMENTO”,

Il primo riferimento al mancato rispetto di termini pare riguardare gli atti amministrativi concreti, cioè tutta la vastissima congerie di disposizioni che costituiscono espressione della volontà concreta della p.a. - .

Il riferimento agli atti amministrativi generali ed a quelli normativi appare generico, poiché non esiste una definizione di diritto positivo generale di tali tipologie di provvedimenti.

Non sarà pertanto agevole distinguere quando un atto abbia o meno natura regolamentare, normativa, o generale, e si dovrà ricorrere in concreto ai criteri elaborati dalla dottrina fin dal momento di entrata in vigore della costituzione per distinguere le varie tipologie (ad es. generalità ed astrattezza dell’atto, novità, forma).

E’ noto infatti che né la l. 241/1990 né la l. 400/1988 consentono di ricavare definizioni con valore normativo cogente idonee a determinare la natura di un atto emanato in base ad una disposizione di legge.

Si tratta infatti di norme con forza di legge ordinaria, che ben possono essere derogate da altre disposizioni di legge ordinaria che prevedano altre forme per l’emanazione degli atti amministrativi o normativi.

Se appare apprezzabile il tentativo di delimitare l’ambito dell’azione, limitandola al mancato rispetto di termini perentori stabiliti da legge e regolamento, pare tuttavia lecito anche chiedersi quali conseguenze potrà avere l’approvazione di un atto avente forza di legge o di un regolamento che non indichi termini perentori entro il quale adottare un certo provvedimento, e che cosa in concreto accadrà alle disposizioni che già ad oggi li prevedevano e il cui termine non sia stato rispettato.

Anche in questo caso l’applicazione concreta dipenderà dall’interpretazione data dalle Corti che saranno adite.

“OVVERO DALLA VIOLAZIONE DEGLI STANDARD QUALITATIVI ED ECONOMICI STABILITI DALLE AUTORITÀ PREPOSTE ALLA REGOLAZIONE ED AL CONTROLLO DEL SETTORE”,

In questa ipotesi, il riferimento appare più preciso, poiché vengono indicati provvedimenti concreti che costituiscono un evidente parametro di valutazione idoneo a vincolare il giudice che si occuperà della fattispecie.

“DERIVI LA LESIONE DIRETTA, CONCRETA E ATTUALE DEI PREDETTI INTERESSI. NEL GIUDIZIO SULLA SUSSISTENZA DI TALE LESIONE SI TIENE ANCHE CONTO DELLE RISORSE STRUMENTALI, FINANZIARIE E UMANE CONCRETAMENTE A DISPOSIZIONE DELLE PARTI INTIMATE”.

L’individuazione di un limite sostanziale attuata mediante il richiamo ai più attuali parametri individuati dalla giurisprudenza per configurare le ipotesi di risarcibilità del danno, e la successiva limitazione della responsabilità alla disponibilità delle risorse, pare imporre alla giurisprudenza un controllo molto rigoroso nel merito della controversia.

Questo, porta a riflettere sulla natura che dovrà avere il procedimento da azionare davanti alla giurisdizione amministrativa; non più un mero processo di legittimità, con esclusione di sindacabilità del merito amministrativo, ma assai più probabilmente un giudizio a cognizione piena, che obbligherà il Giudice, in via generale, ad indagare sulle scelte della p.a. –

Poiché si tratta di un’azione che ha con tutta evidenza carattere generale, si imporrà in altre sedi una riflessione sulla fine della giurisdizione di mera legittimità in materia amministrativa e sulla giustiziabilità del merito.

La portata generale della disposizione inoltre, obbligherà ad altre riflessioni sulla sopravvivenza o meno di istituti tipici del diritto processuale amministrativo come la discrezionalità tecnica e il divieto di sindacato sul merito amministrativo..

 “2. DEL RICORSO È DATA NOTIZIA SUL SITO ISTITUZIONALE DEL MINISTRO PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E L’INNOVAZIONE, NONCHÉ SUL SITO ISTITUZIONALE DELL’AMMINISTRAZIONE O DEL CONCESSIONARIO INTIMATI.”

Si individuano nuovamente gravi difficoltà espressive da parte del legislatore, poiché il comma 1 della disposizione fa riferimento in generale ad un diritto di azione nei confronti della p.a., senza precisare di quale azione si tratti e quale corte sia titolare della giurisdizione.

I rilievi già esposti sopra, e la successiva lettura del testo consentono di esporre che la giurisdizione è amministrativa e che il procedimento di introduzione della lite segue le regole della l. 1034/71.

Nel merito, la disposizione ha lo scopo di pubblicizzare l’introduzione dell’azione, sia per consentire la partecipazione di altri eventuali legittimati, sia per informare enti ed opinione pubblica.

“3. L’UDIENZA DI DISCUSSIONE DEL RICORSO È FISSATA D’UFFICIO IN UNA DATA COMPRESA TRA IL NOVANTESIMO E IL CENTOVENTESIMO GIORNO SUCCESSIVO A QUELLO DI PUBBLICAZIONE DELLA NOTIZIA DI CUI AL COMMA 2. I SOGGETTI CHE SI TROVANO NELLA MEDESIMA SITUAZIONE GIURIDICA DEL RICORRENTE INTERVENGONO NEL TERMINE DI VENTI GIORNI LIBERI PRIMA DELL’UDIENZA DI DISCUSSIONE DEL RICORSO”.

La disposizione processuale nel dettare i tempi di discussione del ricorso e nel fissarne la decorrenza dal momento della pubblicazione della notizia di ricorso, pare introdurre un litisconsorzio unitario (o quasi necessario). Dispone cioè che i titolari di identica posizione giuridica, possano intervenire nel processo entro e non oltre venti giorni liberi antecedenti all’udienza di discussione. Lo scopo, con tutta evidenza, è quello di consentire l’accorpamento e la discussione unitaria del massimo numero possibile di fattispecie concrete. Non pare tuttavia che la mancata partecipazione da parte del titolare di posizione giuridica identica pregiudichi ed impedisca la successiva proposizione della medesima questione in altro ricorso.

In questo senso dunque il riferimento alla natura di azione collettiva che avrebbe il ricorso epr l’efficienza, appare del tutto fuori luogo. Il meccanismo processuale, infatti è del tutto assimilabile al processo amministrativo ordinario, con l’unica diversità che l’intervento in causa è ammessi nel termine perentorio di venti giorni antecedenti al discussione del ricorso.

4. RICORRENDO I PRESUPPOSTI DI CUI AL COMMA 1, IL RICORSO PUÒ ESSERE PROPOSTO ANCHE DA ASSOCIAZIONI O COMITATI A TUTELA DEGLI INTERESSI DEI PROPRI ASSOCIATI, APPARTENENTI ALLA PLURALITÀ DI UTENTI E CONSUMATORI DI CUI AL COMMA 1.

La precisazione che la legittimazione ad agire spetta “anche” ai portatori di interessi diffusi si riferisce al fatto che il comma 3 consente la proposizione del ricorso anche ad una singola persona. Nel caso di azione promossa dal singolo che rimanga tale però, pare difficile che costui possa divenire rappresentante della classe di utenti e/o consumatori se i parametri di individuazione della rappresentatività usati dalla giurisprudenza rimarranno quelli attuali. La possibilità di azione da parte dei portatori di interessi diffusi, appare dunque opportuna, così come è opportuna la precisazione.

5. “IL RICORSO È PROPOSTO NEI CONFRONTI DEGLI ENTI I CUI ORGANI SONO COMPETENTI A ESERCITARE LE FUNZIONI O A GESTIRE I SERVIZI CUI SONO RIFERITE LE VIOLAZIONI E LE OMISSIONI DI CUI AL COMMA 1”.

La legittimazione passiva a resistere al ricorso pare essere individuata nel rappresentante apicale dell’ente titolare della funzione pubblica che si assume violata, in linea con le comuni regole sulla legittimazione passiva degli enti pubblici. Nel caso di amministrazioni statali sembra permanere il Foro Erariale, anche alla luce del successivo art. 3 comma 4.

“GLI ENTI INTIMATI INFORMANO IMMEDIATAMENTE DELLA PROPOSIZIONE DEL RICORSO IL DIRIGENTE RESPONSABILE DI CIASCUN UFFICIO COINVOLTO, IL QUALE PUÒ INTERVENIRE NEL GIUDIZIO”.

Appare come straordinaria e aggiuntiva, la legittimazione del dirigente responsabile dell’ufficio, che pare poter intervenire “ad adjuvandum”, ma non in estromissione della p.a. responsabile.

“6. IL RICORSO NON CONSENTE DI OTTENERE IL RISARCIMENTO DEL DANNO CAGIONATO DAGLI ATTI E DAI COMPORTAMENTI DI CUI AL COMMA 1; A TAL FINE, RESTANO FERMI I RIMEDI ORDINARI”.

La disposizione precisa che non è possibile ottenere un provvedimento di condanna al risarcimento del danno della p.a. mediante il ricorso per l’efficienza, ma non esclude che a detto risultato si possa pervenire mediante azione ordinaria, in sede civile o amministrativa.

Non pare essere presente alcun riferimento alla c.d. pregiudizialità, né all’esistenza di termini di decadenza per proporre l’azione, collettiva o risarcitoria che sia.

 

 

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