E’ reato occultare le fatture, punito con il penale
Il contribuente risponde del reato di occultamento o distruzione delle scritture contabili quando i verificatori non rinvengono i documenti in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi è del volume di affari. A chiarirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 38224 depositata il 28/10/2010.
La sentenza
Il delitto di sottrazione o occultamento delle scritture contabili sussiste qualora il contribuente, in qualsiasi modo, nasconda l’assetto contabile, sia nello stesso posto ove è esercitata l’attività lavorativa sia in altro luogo. Inoltre, l’impossibilità di ricostruzione del volume di affari o del reddito, requisito richiesto dall’art. 10 del D.Lgs. 74/2000 ai fini della configurabilità del reato, deve essere riferita alla situazione “interna” dell’azienda, “senza che assuma alcuna rilevanza la possibilità in concreto di poter pervenire alla ricostruzione, avvalendosi di elementi e dati raccolti all’esterno e in modo indiretto, perché è sufficiente un’impossibilità relativa”.
La Corte di Cassazione ribadisce che tra il delitto de qua e la “vecchia” fattispecie di cui all’art. 4 comma 1 lett. b) della L. 516/82 vi è continuità normativa, per cui gli orientamenti giurisprudenziali formatisi sotto il vigore della precedente configurazione del reato sono da ritenersi tuttora validi.
Il fatto
Al titolare di una impresa meccanica veniva contestato l’occultamento o la distruzione delle scritture contabili, in quanto la Guardia di Finanza non aveva rinvenuto alcune fatture acquisite invece presso i clienti. Il Gip assolveva il contribuente, ritenendo che il fatto non costituiva reato, atteso che non era possibile stabilire se, il mancato rinvenimento si riferisse a un’omissione originaria, facendo venir meno tanto l’occultamento quanto la distruzione, o a una sopravvenuta attività di eliminazione invece penalmente rilevante.
Pertanto, non ha rilievo il fatto che le fatture, oggetto della sottrazione, siano state rinvenute dalle Fiamme Gialle o dall’Agenzia delle Entrate presso il cessionario. Insomma, il c.d. “controllo incrociato”, che, di fatto, può permettere la ricostruzione del reddito o del volume di affari, lascia intatta la responsabilità penale.
La novità
Il caso esaminato dai giudici desta di certo interesse, siccome la sottrazione all’ispezione di documentazione contabile ha, analizzando in toto il quadro normativo vigente, una triplice valenza.
Infatti, se è vero che, in costanza dei presupposti di legge, la sottrazione configura reato, non bisogna dimenticare che tale condotta ha sia rilievo ai fini della tipologia di accertamento che l’Ufficio può adottare (si allude alla possibilità di accertare induttivamente il reddito ai sensi del secondo comma dell’art. 39 del DPR 600/73) sia rilievo probatorio, in quanto ciò che non si è esibito nella fase di verifica non potrà più essere utilizzato nella fase processuale (art. 32 comma 4 del DPR 600/73).
I giudici penali, in passato, si sono anche occupati del caso in cui l’imputato abbia prima sottratto e poi distrutto la documentazione contabile, giungendo alla conclusione che la suddetta condotta potesse configurare un concorso materiale di reati unito eventualmente dal vincolo della continuazione ex art. 81 c.p. (Cass. 8 febbraio 2006 n. 4871).
Specificando il concetto, e ribadendo che tra l’occultamento e la distruzione non può sussistere alcun rapporto di specialità, i giudici hanno poi sostenuto che il reato si configura solo in presenza delle due condotte citate, non avendo rilievo, ai fini penali, né l’omessa tenuta delle scritture contabili né le varie irregolarità contabili che l’imprenditore può porre in essere (Cass. 28 maggio 2002 n. 20786).
Conclusioni
La circostanza appare importante, altrimenti potrebbe ipotizzarsi una condotta penale ogni volta che non vengono rinvenuti dai verificatori documenti fiscali regolarmente contabilizzati e dichiarati.
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