Analisi sui mercati finanziari a cura di Pierluigi Gerbino

Docente di Economia - 4° class. al Campionato Italiano di Trading Top Trader 2000

 

Anno 2010  -  Febbraio

 

 

 

 

 

TORNA LA PERCEZIONE DEL RISCHIO

 

COMMENTO

 

Nell’ultimo approfondimento di analisi avevo puntualizzato due idee: la prima era che i grafici al momento non davano alcun segnale di particolare tensione e, dopo aver superato il 50% di recupero del grande crollo 2007-2009, sembravano voler intraprendere l’impresa di estendere la risalita fino al 61,8%, a quota 1.200-1.230 dell’indice SP500.

La seconda convinzione era che il movimento in atto non avesse alcuna motivazione di tipo economico, ma dovesse essere giustificato soltanto in termini speculativi, col rischio di una profonda e repentina presa d’atto ribassista della realtà.

Casella di testo: Nessuno ha la sfera di cristallo. Le opinioni e le previsioni di questo report derivano dall’applicazione di tecniche di analisi e dall’esperienza diretta dell’autore. Si garantisce  scrupolo ed indipendenza nelle analisi. L’esattezza delle previsioni non può garantirla nessuno. Nei giorni seguenti il mercato è proseguito al rialzo, ma con sempre minore convinzione, raggiungendo il 19.1 il suo massimo a quota 1.150,45. Il giorno seguente si è puntualmente realizzata la seconda idea, quella della secca correzione, con il mercato che in soli tre giorni ha restituito i guadagni di due mesi. Dopo un rallentamento della caduta c’è stato poi un tentativo di rimbalzo nei primi due giorni di febbraio, sull’onda della prima stima del PIL USA del 4° trimestre, risultata prorompente e migliore delle attese. La prima settimana di febbraio è però proseguita con un nuovo impulso ribassista, che ha portato l’indice a toccare quota 1.044,50  prima di dar vita la settimana successiva ad un faticoso recupero di quota 1.075.

Le motivazioni di quanto successo sono riportate puntualmente sui giornali. E’ un mestiere improbo quello del giornalista economico, chiamato ogni giorno a cercare motivazioni economiche per giustificare movimenti che spesso di sensato non hanno proprio nulla. Ci avevano giustificato l’ingordo rialzo degli ultimi mesi del 2009 e della prima parte dell’anno corrente disegnandoci un mondo risanato ed in ripresa, col sistema bancario finalmente a posto e in grado di fare nuovamente utili, la Cina che riprendeva a macinare crescita, Obama che poteva permettersi persino di fare la voce grossa con le banche, minacciando tasse a chi aveva aiutato fino a qualche mese prima, consapevole di essere ormai fuori dal tunnel.

Improvvisamente hanno dovuto rispolverare i vocaboli di un anno prima per descrivere “crolli delle borse”, “220 miliardi di euro bruciati in due giorni”, “la moneta nella tempesta dei mercati”, con la sola novità che questa volta la moneta in questione non è il dollaro ma l’euro. Ed allora ritorna la paura dei fallimenti, questa volta addirittura di interi stati, la ripresa non è più così evidente come pochi giorni prima, si scopre il pericolo del gigantesco debito pubblico degli stati, quel debito che nei mesi scorsi veniva osannato come l’ancora di salvezza del sistema finanziario mondiale.

E’ ovvio che il povero risparmiatore che legge “Il sole 24 ore” o al sabato “Milano Finanza” non ci capisca più nulla, e chi magari sia andato in viaggio per una settimana e non abbia letto i giornali, al suo ritorno abbia il dubbio di essersi assentato per mesi.

Ci dicono che i mercati sono emotivi, ed è sacrosanto. Dovrebbero però anche dirci che l’informazione economica non vale una cicca, perché soffia continuamente sul fuoco dell’emotività, senza la capacità di andare contro la moda del momento, anzi, alimentandola con la continua ricerca della spiegazione logica di quel che sta succedendo, anche quando dietro i comportamenti dei mercati non c’è alcuna logica, che non sia la semplice e banale speculazione delle mani forti che attirano la massa avviando un movimento, la illudono raccontando ai giornalisti le più ardite giustificazioni e la scaricano quando hanno guadagnato abbastanza, distribuendo agli ultimi arrivati il classico cerino acceso.

Cerchiamo allora, al di là delle parole d’ordine degli ultimi giorni, di semplificare e fare un po’ d’ordine, senza rinunciare a cercare un po’ di senso in quanto accaduto, anche se la tentazione di limitarmi all’analisi del grafico è fortissima, poiché il grafico sintetizza in un unico dato, il prezzo, tutte le informazioni ed i ragionamenti del mercato e rappresenta a mio parere lo strumento privilegiato per seguire il mercato, senza affidarsi ai ragionamenti spesso ambigui, talvolta ideologici e quasi sempre interessati degli “analisti economici”.

Se è vero che il prolungato rialzo partito da marzo 2009 si è esteso sui mercati azionari ben al di là di quanto ci si poteva pur ottimisticamente attendere (nel marzo scorso avevo inizialmente ipotizzato per SP500 “quota 1000”, correggendo l’obiettivo a luglio a 1.120), abbandonando ogni cautela e percezione dei rischi, possiamo dire che in questi giorni alcuni importanti rischi sono tornati a far capolino.

Il primo rischio ha riguardato la crescita economica, che non appare sfavillante come le statistiche ufficiali tendono a mostrare. La prima stima della crescita USA nell’ultimo trimestre 2009 è stata misurata il 29 gennaio scorso ad un ritmo annualizzato da paese emergente (+5,7%), ben al di sopra del già ottimo 4,5% atteso. Tuttavia se si va oltre il dato grezzo per scendere nei dettagli, si constata che il grosso della crescita (3,39% su 5,7) è stata merito esclusivo dell’incremento delle scorte, mentre la spesa finale per consumi ha mostrato un contributo di 1,44%, minore del 3° trimestre, e la spesa per investimenti fissi ha dato segni di risveglio, tornando ad un contributo positivo, ma assai flebile (+0,43%).

L’incremento delle scorte rivela un certo ottimismo degli imprenditori, che tornano a riempire i magazzini e scommettoino effettivamente nell’arrivo della ripresa, ma anche un aumento dei consumi inferiore alle attese. Se si confronta il ritmo di incremento di consumi ed investimenti al termine di quest’ultima crisi (ammesso che si sia effettivamente alla fine) con quel che era successo all’uscita delle precedenti recessioni, si smorzano gli entusiasmi, poiché allora la ripresa dei consumi fu molto più secca e convinta di oggi. La grande diffidenza del consumatore e la incapacità attuale di riprendere i ritmi di spesa antecedenti alla crisi ci porta ad escludere ormai una inversione a “V” del ciclo economico, ma più probabilmente una assai più lenta “U”, con possibilità di ricadute recessive a fine 2010 e inizio 2011, che un certo numero di economisti ora ritiene addirittura probabili.

Oltretutto la tanto attesa svolta nel mercato del lavoro, con in ritorno alle assunzioni è stata mortificata dal dato di gennaio sulle assunzioni non agricole, ancora negativo. Non solo. E’ stato rivisto in peggio anche il dato di dicembre, con un raddoppio della perdita di assunti ed è stata comunicata la revisione definitiva del periodo marzo 2008-marzo 2009. Abbiamo così scoperto che dall’inizio della recessione la reale perdita di posti di lavoro americani, che pensavamo fosse di 7,2 milioni, è stata in realtà di 8,4 milioni. E che il tasso di disoccupazione, in miglioramento dal 10% al 9,7%, lo è a causa della rassegnazione di molti disoccupati che, rinunciando a cercare lavoro, escono dal numero ufficiale delle forze di lavoro ed abbassano così il rapporto.

Non c’è quindi da stupirsi se i mercati hanno preso atto che la situazione non è poi così rosea.

Casomai ci sarebbe da chiedersi come sia stato possibile nei mesi scorsi tanto ottimismo basato sul nulla.

Il secondo rischio balzato d’improvviso agli occhi del mercato è quello sull’indebitamento. Per mesi sia gli spread comparati che le quotazioni dei CDS sulle emissioni di obbligazioni societarie e dei singoli stati sono costantemente scesi, scontando un generalizzato aumento di fiducia nei debitori ed un abbassamento deciso della percezione del rischio emittente. Come se la ripresa fosse da sola in grado di sistemare ogni magagna ed il mercato disponibile a finanziare tutti. L’enorme liquidità messa a disposizione delle banche centrali a costo zero è stata utilizzata in speculazioni su qualsiasi genere di bond, senza andare troppo per il sottile.

Ora però si comincia a percepire che l’immissione di liquidità non può proseguire all’infinito, anzi si avvicina il momento in cui questa massa di denaro gratis dovrà essere ritirata. La banca centrale cinese ha dato il buon esempio e, come era stata la prima e la più generosa ad allargare i cordoni della borsa per impedire la recessione, ora ha iniziato la manovra restrittiva per frenare la bolla speculativa che molti vedono sul mercato immobiliare cinese.

Contemporaneamente si è percepito che anche l’area euro, che negli ultimi anni è sempre stata considerata la patria del rigore e della stabilità, sta dando segni evidenti di sofferenza, con alcuni paesi partecipanti alla moneta unica (soprattutto la Grecia, ma anche il Portogallo e Spagna) tutt’altro che virtuosi. Le necessità di sostenere le economie in grave recessione hanno fatto esplodere il debito pubblico di questi paesi, che ora presentano rapporti deficit/PIL a doppia cifra quando il famoso Patto di Stabilità impone di contenere il saldo di bilancio entro un deficit del 3% del PIL. Se si aggiunge il piccolo particolare che la Grecia ha pure truccato i conti ed ha una situazione di grave conflitto sociale interno, si capisce perché la speculazione internazionale si sia accanita contro questo paese, portandolo sull’orlo della bancarotta. Sta di fatto però che le necessità di sostegno alla Grecia hanno messo a nudo tutte le magagne di Eurolandia, che molti in passato avevano già evidenziato: l’essere una ampia unione monetaria con una moneta unica controllata centralmente da una efficiente e severa Banca Centrale non è sufficiente a dare stabilità se non si realizza anche una convergenza economica e politica tra i vari paesi. Le istituzioni a garanzia di questa convergenza non sono state create, per cui la politica monetaria è nelle mani della BCE, ma le politiche economiche e di bilancio sono di esclusiva competenza dei singoli stati, che agiscono ovviamente secondo logiche politiche nazionali, che spesso contrastano con gli interessi dell’area.

Oltretutto l’unica garanzia di virtù è rappresentata dai Patti di Stabilità concordati dalla Commissione Europea con i singoli Stati e da un limitato potere sanzionatorio nei confronti di chi sgarra.

Quando si scopre che qualche alunno non è stato molto preciso nel fare i compiti, se non ci sono poteri di sanzione efficaci, ci rimette tutta la classe, anche perché un alunno non può fare i compiti del compagno. Il trattato vieta espressamente che uno stato garantisca per i debiti di un altro stato. Se anche questo fosse possibile non sarebbe facile spiegare agli elettori francesi o tedeschi il motivo per cui loro devono farsi carico delle voragini nei bilanci dei Greci (oggi, magari domani verrà la volta del Portogallo e poi della Spagna). In Germania cominciano a circolare i sondaggi d’opinione se abbia ancora senso per i tedeschi stare nell’euro oppure se sia meglio tornare al marco.

Allo stato delle cose i leader europei non possono andare molto al di là delle dichiarazioni di principio che la Grecia verrà sostenuta ad ogni costo, che l’Europa ha piena fiducia nella capacità dei greci di venire fuori dalla crisi, che chi specula contro l’euro non potrà vincere.

Tutte affermazioni che per ora alla speculazione anti euro hanno fatto il solletico. Anzi, rischiano di evidenziare un senso di impotenza tipico di chi può solo abbaiare, ma non mordere, alimentando le speranze di chi vede la possibilità che l’euro stesso possa andare a gambe all’aria. Un partito che da sempre negli USA ha avuto molti aderenti.

Ci troviamo perciò in una situazione molto delicata.

Le economie occidentali debbono dimostrare di riuscire a riprendersi senza più pretendere alcun aiuto dagli stati, che hanno finito le cartucce. L’enorme impegno di denaro pubblico è bastato a frenare la terribile recessione, ma non ancora a stimolare una forte ripresa. Però ha minato la credibilità finanziaria di tutti (anche i big Germania, Francia, USA e Gran Bretagna si avviano per il 2014 verso un rapporto debito/pil intorno al 100%, chi più chi meno) ed a qualcuno già meno solido ha fatto superare il limite della sostenibilità (non cito l’Italia per scaramanzia). Per cui ora le economie debbono fare da sole e trovare in se stesse la fiducia per risalire. Non sarà affatto facile.

I mercati riflettono ora su queste difficoltà.

Faccio notare che gli indici azionari non stanno ancora pensando al peggio. Anzi, hanno interpretato tutti questi fattori di rischio come una occasione per limitare l’esposizione, ed hanno perciò attuato quella che per ora possiamo soltanto chiamare “correzione di breve periodo”.

Fino a quando SP500 riuscirà a permanere al di sopra di 1.020 non si potrà parlare di inversione di tendenza. Certo, l’euforia della seconda parte del 2009 pare scomparsa, e a mio parere questo è un bene. Ma il pendolo dell’umore del mercato non oscilla ancora così forte da entrare nel territorio del “si salvi chi può”.

Anzi, se almeno qualcuno dei rischi che ho indicato si ridimensionerà, è possibile che si riprovi a tornare ai massimi di inizio anno.

Graficamente vedo come spartiacque tra il semplice rimbalzo e l’inversione rialzista di breve periodo il recupero di SP500 al di sopra del livello 1.104. Se nei prossimi giorni l’impresa riuscirà, si potrà pensare di tornare verso 1.150 e magari oltre.

Se il recupero verrà respinto indietro dovremmo andare a testare quel livello di 1.020 che rappresenta il confine tra la correzione di breve periodo e l’inversione ribassista di medio lungo periodo. A mio parere questa è l’ipotesi più probabile.

Superato al ribasso 1.020, inizierebbe il penoso viaggio di ritorno verso i minimi del marzo 2009.

Ma a 1.020 ci dobbiamo ancora arrivare. Diamo tempo al tempo.

 

 

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