Analisi sui mercati finanziari a cura di Pierluigi Gerbino
Docente di Economia - 4° class. al Campionato Italiano di Trading Top Trader 2000
Anno 2009 - Maggio
COMMENTO
I mercati azionari mondiali hanno archiviato il mese di Aprile estendendo il rimbalzo iniziato il 10 marzo ben oltre le legittime attese di correzione tecnica.
Ci ritroviamo ora a vivere un
rimbalzo che sembra quasi invincibile: quasi due mesi di salita che ha
sostanzialmente riportato i principali mercati ad un passo dai valori di inizio
anno, recuperando quasi tutta la devastazione provocata dal panico di gennaio e
febbraio.
Che quello di marzo sia stato un minimo di medio periodo è ormai chiaro. Assai meno chiaro è quel che ora potrà succedere.
Insomma, molti investitori di medio periodo, che non hanno approfittato del rimbalzo per prudenza, si stanno chiedendo: siamo già al punto di svolta che ci permetta di ipotizzare la morte dell’orso ed il ritorno stabile del ciclo rialzista? In tal caso che Toro stiamo cavalcando? Un torello poco muscoloso oppure un animale possente in grado di riportarci ai fasti di due anni fa?
Qualcun altro si pone la domanda che ciclicamente sentiamo: come mai le borse salgono anche quando arrivano dati brutti? Davvero possiamo credere che la crisi, che due mesi fa sembrava apocalittica, ora sia passata?
Non sono certo in grado di rispondere con certezze a tutto ciò, però proverei a mettere un po’ in ordine quel che si sta affastellando sui media, ovviamente secondo il mio punto di vista.
Partiamo dal dato macroeconomico, dai fondamentali.
Anche io sono stupito dalla rapidità in cui le banche centrali (in modo cauto), i governanti (in modo più convinto) e gli analisti prezzolati delle banche d’affari (in modo spudorato) hanno mutato opinione nel breve volgere di un mese.
Quella crisi che a marzo tutti paragonavano con la Grande Depressione e che, secondo i più, avrebbe dovuto accompagnarci per tutto il 2009 e forse anche per il 2010, sembra passata d’incanto.
Il drastico mutamento di opinioni non deriva da dati reali, ma da alcuni miglioramenti che si intravvedono negli indicatori di fiducia.
I dati reali pervenuti finora non lasciano spazio a grandi illusioni: il PIL USA è stimato ad un tasso di caduta del 6,1% annualizzato; la stima più recente fatta del PIL tedesco del 2009 parla anch’essa di un -6%. Nessun barlume di positività viene dal mercato del lavoro USA, che continua a perdere ogni mese più di 600.000 posti di lavoro.
Gli unici dati migliori delle attese sono arrivati dagli indici di fiducia dei consumatori e dagli indici dei manager (ISM e PMI), che hanno fermato la caduta e sono rimbalzati. Va considerato comunque che la fiducia registra comunque ancora valori intorno a 60, ben lontani dai valori superiori a 100 che si vedevano nel 2007. Anche ISM e PMI si sono riportati intorno a 40, che è ancora ben lontano dal valore 50 che separa la recessione dalla crescita.
Sembra quindi corretto, come lucidamente ha fatto Draghi, parlare di rallentamento della caduta delle economie più importanti, non di ripresa. Un rallentamento della recessione potrebbe far ipotizzare una futura stabilizzazione, ma pare prematuro già scommettere sull’inversione congiunturale. Eppure sembra che i mercati lo facciano.
O scambiano una rondine con la primavera, sbagliando, oppure stanno correggendo l’eccessivo pessimismo che li ha colpiti ad inizio anno. Insomma, stanno sbagliando oppure hanno sbagliato prima. Questo perché le inversioni a V sono un evento molto raro e si giustificano con qualche radicale mutamento di prospettiva, che dai dati attuali non si vede. Non dimentichiamo che la caduta produttiva dell’ultimo semestre (da ottobre 2008 a marzo 2009) ha avuto una portata eccezionale, un’intensità mai vista nel dopoguerra. Pertanto una stabilizzazione non è certo quel che basta per risollevare le sorti dell’economia mondiale.
Gli ottimisti invece non mancano. Tutti però, non potendo affermare che ci sono dati di ripresa, si aggrappano alle mutate aspettative. Allora affermano che la crisi è finita poiché il G20 ha fatto vedere che i governi vogliono agire per combattere la crisi, Obama nei suoi 100 giorni ha dato prova di coraggio ed abilità a stimolare i consumi (unica voce che ha dato un contributo positivo al PIL USA del 1° trimestre) e salvare le banche con massicci interventi. E siccome stiamo vivendo prevalentemente una crisi di fiducia, tornata la fiducia, finita la crisi.
A me pare che si voglia mettere il carro un po’ troppo davanti ai buoi.
Infatti, se andiamo a vedere bene, i risultati del G20 sono stati sostanzialmente un elenco di pie intenzioni dei governi: stanziare altri 1000 miliardi, combattere i paradisi fiscali, regolamentare i fondi hedge, smetterla con i bonus ai manager bancari. Qualcuno ha visto finora attuare anche solo una di queste buone intenzioni? Io no. Anzi, il fatto che i mercati finanziari si siano un po’ ripresi sembra aver ringalluzzito le lobbies dello status quo ed accantonato l’urgenza di provvedere, quasi che tutto si risolva da solo.
Obama poi si è rivelato maestro di illusionismo, dimostrando un’inattesa (da me) capacità di prendere in giro l’America facendole credere di salvarla.
Le imponenti misure messe in campo, con la creazione di una montagna di debito, che bloccherà le aspettative di crescita futura, porterà inflazione e svuoterà le tasche delle future generazioni, sono state destinate in gran parte a sostenere l’attuale establishment bancario, che si cerca di far uscire indenne dalla colossale truffa perpetrata ai danni del mondo.
Qualche esempio lo abbiamo già visto in precedenti articoli. Ricordo soltanto il piano salvabanche di Geithner, che regala alle banche la possibilità di disfarsi di titoli tossici vendendoli ad enti pubblici-privati in cui i guadagni finiscono ai privati ed i rischi al bilancio pubblico.
Non da meno è stata la modifica alle regole contabili che ha permesso alle banche di valorizzare i titoli tossici a loro piacimento. Questa chicca, a cui io attribuisco gran parte del merito del rialzo borsistico, ha permesso a tutte le principali banche di presentare utili fantascientifici nelle trimestrali presentate, proprio nei giorni in cui il FMI rivedeva al rialzo oltre i 4.000 miliardi di dollari la stima del buco originato dai titoli tossici. Ricordo che finora le perdite emerse sono state di circa 1.300 miliardi. Se il FMI non sbaglia restano 2.700 miliardi di polvere che è stata nascosta sotto il tappeto ed emergerà in futuro. Ma non ora! Questo è quel che conta. Magari il ritorno della fiducia farà il miracolo di far sparire la tossicità. Questa è la speranza dei furbetti. Ed il mercato ci sta credendo, lanciandosi nella speculazione rialzista sui bancari. E’ bastato truccare il termometro e tutti cominciano a credere che la febbre sia sparita.
L’altra presa in giro è l’Araba Fenice degli Stress Test sulle 19 principali banche USA. Non si riesce più a capire quando avremo i dati ufficiali, dato che i tempi di pubblicazione vengono posticipati ogni settimana.
Tuttavia le anticipazioni che sono state pubblicate su importanti giornali americani fanno temere che quella che venne presentata come “l’operazione verità” per togliere ogni dubbio sul sistema bancario USA, sia in realtà un’altra operazione di intossicazione della realtà.
Innanzitutto il metodo usato presta il fianco alla critica di eccessiva accondiscendenza. Si è esaminata la solidità delle banche utilizzando due ipotesi: l’ipotesi di base prevede il PIL 2009 a -2% e tasso di disoccupazione a 8,5%, mentre per il 2010 il PIL è visto a +2,1% (non è un errore di stampa) e la disoccupazione a 8,8%. Si è poi esaminata anche l’ipotesi peggiore: nel 2009 PIL a -3,3% e disoccupazione a 8,9%, nel 2010 PIL a +0,5% e disoccupazione al 10,3%.
Si noti che la realtà ha già superato l’ipotesi avversa utilizzata. Infatti il PIL viaggia a velocità negativa doppia rispetto all’ipotesi peggiore e la disoccupazione è già a 8,5% a marzo e cresce di circa 0,3-0,4% al mese.
Ebbene, nonostante ciò, pare dalle ultime indiscrezioni che ben 14 banche su 19 escano dallo stress test con la necessità di ricapitalizzare, cioè siano sostanzialmente insolventi anche con i parametri compiacenti della Federal Reserve. Che sarebbe successo se si fossero usati parametri più realistici?
Eppure Geithner si è potuto permettere l’affermazione che ha fatto schizzare le borse, secondo cui “la maggior parte delle banche USA ha capitale in eccesso” rispetto alle necessità. Mente? Formalmente no, in sostanza sì. Infatti le banche USA sono 1700 ma le 10 più grandi contano per il 60% circa degli assets. Come ha fatto acutamente notare il Nobel Krugman, basta che alcune delle più grandi siano sottocapitalizzate, ma non lo siano molte tra le piccole, per consentire l’affermazione di Geithner che nega la realtà della sostanziale insolvenza del sistema.
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