Analisi sui mercati finanziari a cura di Pierluigi Gerbino

Docente di Economia - 4° class. al Campionato Italiano di Trading Top Trader 2000

 

Anno 2010  -  Maggio

 

 

 

 

 

FUGGA DAL MEDITERRANEO

 

COMMENTO

 

La primavera del 2010 rischia di passare alla storia come la ripetizione dell’autunno 2008.

Fino a venerdì scorso i mercati, i giornali e l’opnione pubblica hanno rivissuto momenti molto simili a quelli che anticiparono il terremoto che portò al fallimento di Lehmann e la conseguente ecatombe dei listini e dell’economia mondiale, paralizzata nei sei mesi successivi dalla più violenta crisi economica dai tempi della grande depressione del ’29.

E’ cambiato il luogo, l’Europa anziché l’America, ma la dinamica del delitto del 2008 sembrava ripetersi nello stesso modo, con la Grecia al posto della banca d’affari, ed i medesimi drammatici tentativi di salvataggio, con piani che vengono approvati e poi rimessi in discussione, il conteggio dei costi e le titubanze di chi se ne deve far carico, allora Paulson, ora la cancelliera tedesca Merkel, che ha tergiversato fino a venerdì scorso.

Il comportamento della Lady di ferro è stato curioso, poiché ha dovuto recitare di fronte al suo elettorato una tipica commedia all’italiana. Sapeva perfettamente che l’unico modo per salvare l’Euro passava per la via stretta del salvataggio della Grecia a carico in gran parte della sua Germania, ma non poteva ammetterlo perché i suoi concittadini, che sarebbero andati a giudicarla nelle urne pochi giorni dopo, non ne vogliono sapere di pagare per i bugiardi greci.

Siccome la Merkel non ha l’indole dell’attore e neanche il tempo di seguire un corso di recitazione politica dal nostro premier, il risultato è stato per lei il peggiore dei mali: dover pagare molto di più di quel che avrebbe dovuto sborsare se la decisione fosse stata presa 3 o 4 settimane fa, all’inizio della tragedia greca, e perdere comunque le elezioni.

Il crollo dei mercati nella scorsa settimana, con molte borse europee che hanno lasciato sul terreno perdite settimanali a doppia cifra ed il tonfo della moneta unica, precipitata a 1,25 contro il dollaro, ha spinto gli euroburocrati a fare gli straordinari nel week-end ed a preparare un piano salva-euro, con frenetiche consultazioni, alle quali questa volta non si è sottratto nemmeno il nostro premier, che non si occupava più di euro da parecchi mesi. Mentre i negoziati erano in stallo ed il tempo stava per scadere il nostro playboy nazionale ha telefonato alla Merkel e, come recita una nota ufficiale di Palazzo Chigi, “subito dopo il contatto tra i due leader, il ministro Tremonti, su mandato del Presidente Berlusconi, ha condotto la parte finale delle trattative”. Musica, e vai con la canzoncina “meno male che Silvio c’è!”

I mercati alla riapertura hanno così potuto festeggiare.

Curiosamente quello che avrebbe dovuto festeggiare di più, il cambio euro-dollaro, ha perso per strada tutto l’entusiasmo iniziale, per poi chiudere sui minimi, al di sotto di 1,28.

Hanno invece stappato gli spumanti le borse azionarie, che, trascinate dalla riscossa dei titoli bancari, ancora una volta salvati dai governi, hanno attuato un rally che ha fatto loro recuperare in un solo giorno quasi tutto quel che avevano perso nella settimana della tragedia greca.

I giornali di oggi, trionfanti, ci dicono che la nostra Piazzaffari ha messo a segno la seconda miglior performance giornaliera dal 2007. Non ci dicono però nulla su quella che fu la giornata in cui fecero ancora meglio e che cosa successe dopo.

Provvedo io. La giornata di ieri è stata la fotocopia di lunedì 13 ottobre 2008, quando i mercati esultarono perché i grandi della terra, riunitisi nel week-end per fronteggiare la crisi delle banche, decisero un maxi-piano di salvataggio, consentendo ai governi di salvare le proprie banche e di garantire i depositi. Il lunedì le borse rimbalzarono di oltre il 10%.

Casella di testo: Nessuno ha la sfera di cristallo. Le opinioni e le previsioni di questo report derivano dall’applicazione di tecniche di analisi e dall’esperienza diretta dell’autore. Si garantisce  scrupolo ed indipendenza nelle analisi. L’esattezza delle previsioni non può garantirla nessuno. Quel che è successo ieri potrebbe perciò essere un dejà vu. Per pura memoria (non per portare sfiga), dobbiamo ricordare cosa successe dopo quell’euforico 13 ottobre: le borse scesero per altri 5 mesi, alternando crolli e rimbalzi, fino ai minimi del 9 marzo 2009 che per la nostra borsa furono segnati il 44% sotto il livello di quel 13 ottobre.

E’ bene quindi essere molto cauti nell’interpretazione del mercato. Per molti motivi.

Innanzitutto personalmente sono abbastanza scettico sulla reale validità del piano.

Esso si basa su 5 capisaldi:

1)     Un meccanismo di stabilizzazione che prevede prestiti ai paesi in difficoltà, per un ammontare di 750 miliardi di euro. In realtà al momento sono disponibili solo 60 miliardi. 250 sono richiesti al Fondo Monetario. 440 sono reperibili in caso di necessità attraverso prestiti bilaterali. Ciò significa che la massima parte del fondo dovrà essere finanziato da chi, come la Germania, sarà chiamata a stanziare 80 miliardi, quando ha fatto storie per un mese a tirarne fuori 8. Ho la grossa sensazione che tutto ciò sia soltanto fumo per spaventare la speculazione con grosse cifre, sperando di non doverle tirare fuori mai.

2)     Un rafforzamento della disciplina fiscale per i paesi membri: vale a dire che i paesi più indisicplinati sono chiamati a stringere la cinghia per ottenere la difesa da parte degli altri. La Grecia è stata obbligata già la scorsa settimana ad approvare misure di austerità pari al 10% del PIL, ora anche Spagna e Portogallo dovranno accelerare le manovre di rientro verso il parametro del 3% del rapporto deficit/pil. Tutto ciò nel medio periodo porterà minore crescita economica in tutta l’eurozona e problemi sociali nei paesi interessati. A meno che questi riescano a “fare i furbi” come la Grecia. In tal caso la tragedia greca diventerebbe il prossimo anno spagnola o portoghese.

3)     Regolamentazione delle agenzie di rating e dei derivati, con istituzione di una specie di Tobin Tax. E’ la classica aria fritta che serve per individuare un capro espiatorio ed autoassolversi dalle proprie responsabilità. Tutti sanno che queste misure o sono prese a livello di G20 e vincolano tutti i principali mercati finanziari, oppure sono pura demagogia, perché senza una generalizzazione sono totalmente inapplicabili dai singoli stati e diventano addirittura controproducenti, poiché allontanerebbero gli investitori dall’area Euro.

4)     Coordinamento della BCE con le altre banche centrali per fornire liquidità ai mercati e disponibilità della BCE ad intervenire direttamente per comprare titoli di stato dei paesi in difficoltà e di privati a rischio di insolvenza. Questa è a mio parere la misura più efficace, l’unica veramente in grado di mettere paura a chiunque voglia mettersi al ribasso. Era una misura abbastanza inattesa, poiché viola apertamente il trattato di Maastricht e per questo è stata addirittura criticata da Weber, governatore della Bundesbank. Dal punto di vista etico è molto discutibile, poiché permette all’arbitro di giocare sul mercato a favore di una sola squadra (quella dei rialzisti), consentendo alla banca centrale, che può stampare moneta a suo piacimento, di usarla per manipolare i prezzi che il mercato formerebbe se fosse libero di farlo.

Ancora una volta si distrugge il mercato per salvarlo dal ribasso.

Inoltre quando questa possibilità verrà usata, la BCE creerà inflazione stampando moneta, come hanno fatto gli americani con le analoghe misure chiamate “helicopter Bernanke”.

Comunque, aldilà della enorme puzza che emana, questa misura è veramente un’arma nucleare per sostenere i mercati, poiché nessuna azione coordinata di qualsivoglia fondo hedge sarebbe in grado di sostenere operazioni contro chi può stampare liberamente tutti i soldi necessari per assorbire qualsiasi ammontare di vendite.

Non c’è quindi da stupirsi se a beneficiare di più del piano di salvataggio sono stati proprio i bonds dei paesi PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) che hanno usufruito di un drastico calo dello spread rispetto al Bund e di un crollo dei CDS, e i mercati azionari, dove i titoli bancari, penalizzati la scorsa settimana dalle potenziali perdite sull’esposizione verso i PIIGS, hanno finalmente vissuto una giornata da leoni con alcuni di loro rimbalzati quasi del 20% in un solo giorno.

Si spiega anche la delusione sull’euro, che non si è ripreso, nonostante dovesse essere il maggior beneficiario del maxi-piano. Sul mercato dei cambi pesa il dubbio circa la possibilità reale di coordinare le politiche fiscali e la minor crescita futura che il rigore imposto dalla Germania a tutti gli altri paesi necessariamente provocherà in tutta Europa.

Sintetizzerei quindi la situazione dicendo che il piano ha fatto smettere di piovere, ma non ha diradato le molte nubi che continuano ad addensarsi sulla credibilità europea. Anzi, ne ha portate altre, come il vulcano islandese, poiché i mercati avranno altri argomenti (quelli del Piano) su cui fare ogni giorno l’esame di fiducia all’Europa e per l’Euro continuerà ad essere molto difficile tornare a volare.

Oltre le considerazioni sull’Europa monetaria, che per una volta è stata l’ombelico del mondo ed è riuscita a condizionare l’andamento di tutti gli altri mercati finanziari, le scorse settimane hanno portato qualche altro dato.

Innanzitutto l’incapacità dell’indice SP500 di superare l’area 1.200 – 1.230, che da parecchio tempo avevo indicato come vera e propria muraglia che separava il mercato dal Toro di lungo periodo. Il dato incontrovertibile è quello che l’orso non pare ancora debellato e sembra in grado di fare ancora molto male.

Per completezza dobbiamo però anche affermare che graficamente il trend di medio-lungo periodo per il momento è ancora impostato al rialzo, anche se nella settimana della tragedia greca qualche acciacco l’ha subito. Infatti il minimo fatto segnare giovedì scorso, il giorno del grande errore (si è poi appurato che errore non era), che ha fatto passare un brutto quarto d’ora a Wall Street, è stato molto profondo, ma comunque superiore al minimo segnato dalla precedente correzione ad inizio febbraio. Inoltre l’indice americano si è appoggiato alla media mobile a 200 periodi, scendendo al di sotto soltanto durante il panico del fatidico giovedì, ma è rimbalzato e lunedì si è riportato ben al di sopra. Per cui possiamo sicuramente affermare che il trend si è decisamente indebolito, ma non che l’inversione ribassista sia avvenuta.

Il forte impulso ribassista ed il rimbalzo che ne è seguito questa settimana ci forniscono dei paletti molto importanti per i mesi futuri. Il cedimento dell’area compresa tra 1.045 e 1.065 decreterebbe a tutti gli effetti quell’inversione che per ora è strata evitata, mentre il rimbalzo in corso è chiamato al difficile compito di riportare l’indice oltre i massimi annuali di 1.220, pena la formazione di un massimo discendente, per la prima volta da marzo 2009.

Una ulteriore conseguenza, molto rilevante, del marasma vissuto dalle borse, è stato il ritorno sulla scena, con grande sfoggio di effetti speciali, della volatilità, che solitamente accompagna e segnala la presenza di malessere sui mercati. Il VIX, l’indice che misura la volatilità implicita incorporata nei prezzi delle opzioni sull’indice SP500, quello che io chiamo l’indice della paura presente sui mercati, dopo essere discesa quasi costantemente e progressivamente, salvo brevissimi sussulti, dai massimi di oltre 80 punti di ottobre e novembre del 2008 fino ai valori di circa 15 che erano la norma fino al 2007, nei giorni scorsi si è nuovamente ed impulsivamente riportato oltre 40, superando tutti i massimi realizzati nelle precedenti momentanee correzioni. E’ un chiaro segnale di turbolenza, che non dovrebbe essere snobbato con la certezza che tutto si rimetterà presto a posto.

Un altro dato che i mercati azionari presentano alla nostra riflessione è la fine del viaggio di gruppo. Se è vero che, tra i principali mercati finanziari, la borsa tedesca e quella giapponese si trovano nella medesima situazione di Wall Street, non altrettanto si può dire per le borse mediterranee. Grecia (ovviamente), Portogallo, Spagna, Italia, e persino la Francia hanno già invertito il trend di mercato, che ora è ribassista. Lo stesso destino pare attanagliare anche la Cina. L’uniformità di comportamento che tradizionalmente accompagna il destino delle borse azionarie sembra un ricordo del passato. Ora i mercati stanno selezionando i vari paesi, senza fare di ogni erba un fascio. Per ora non possiamo ancora parlare di fuga dall’azionario, ma piuttosto di fuga dal Mediterraneo.

Se si tratta di paura ingiustificata oppure di un anticipo di quel che si vedrà dappertutto, lo verificheremo nei prossimi mesi. Si preannuncia un’estate molto calda.

 

 

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