Analisi sui mercati finanziari a cura di Pierluigi Gerbino

Docente di Economia - 4° class. al Campionato Italiano di Trading Top Trader 2000

 

Anno 2011  -  Luglio

 

 

 

 

 

SUL FILO DEL RASOIO

 

COMMENTO

 

Il motivo dominante di questa estate sembra essere la resa dei conti con i debitori più incalliti.

I mercati si stanno accanendo contro i cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), cioè gli anelli deboli dell’area euro, colpevoli di avere un debito eccessivo unito alla scarsa capacità di controllare i loro bilanci pubblici ed un tasso di crescita dell’economia inadeguato.

Sono quindi scattate violente bordate di vendite di titoli pubblici, che hanno portato gli interessi pagati per finanziare questi paesi a livelli esorbitanti. Tre di loro (Grecia, Irlanda e Portogallo) hanno già dovuto ricorrere al fondo salva-stati predisposto dall’UE per finanziare gli stati dell’euro in difficoltà. In cambio di questi aiuti hanno dovuto sottoporsi a manovre di aggiustamento molto pesanti. La Grecia è quello che ha maggiori difficoltà e dovrà essere deciso nei prossimi giorni un nuovo finanziamento comunitario da circa 100 miliardi di euro, a cui dovrebbero partecipare anche le grandi banche attraverso il prolungamento volontario delle scadenze dei loro crediti. Sul modo per ottenere questo risultato, tuttavia, non c’è ancora accordo ed i tecnici si stanno incartando in discussioni senza fine che innervosiscono i mercati.

L’operazione che tentano le autorità UE è delicata, poiché innanzitutto occorrerà che la partecipazione delle banche alla ristrutturazione sia autenticamente volontaria. In caso contrario scatterebbe la dichiarazione di default da parte delle agenzie di rating e la reazione a catena che provocherebbe la “fusione del nocciolo”: abbassamento del rating, impennata finale degli spread verso il bund a livelli inimmaginabili, evaporazione delle quotazioni di mercato dei titoli greci, obbligo di pagamento della garanzia su tutti i CDS sul debito greco in circolazione. Il che causerebbe enormi buchi di bilancio sulle banche europee esposte e probabilmente l’effetto contagio sul sistema bancario inglese ed americano.

Le banche tedesche e francesi, che sono le più esposte, si trovano perciò all’angolo, costrette a dare la disponibilità al rinnovo dei loro crediti per evitare di dover chiedere il salvataggio ai loro governi. Tutto ciò significa confidare che la Grecia farà bene i compiti e supererà l’esame di recupero dei prossimi anni, che prevede due prove: il risanamento del loro bilancio pubblico ed il ritorno alla crescita. Nella situazione sociale e politica in cui versa la Grecia oggi non mi sembrano affatto prove facili. Il rischio, che io considero ad alta probabilità di realizzazione, è perciò che in questi giorni si metta l’ennesima pezza su un vestito che è già ampiamente lacerato e consunto e si rinvii semplicemente al prossimo anno o al 2013 la presa d’atto che la Grecia non ce la fa a stare in classe con la Germania, quando magari essa stessa chiederà di porre fine all’accanimento terapeutico e di uscire dall’euro.

Casella di testo: Nessuno ha la sfera di cristallo. Le opinioni e le previsioni di questo report derivano dall’applicazione di tecniche di analisi e dall’esperienza diretta dell’autore. Si garantisce  scrupolo ed indipendenza nelle analisi. L’esattezza delle previsioni non può garantirla nessuno. Ma intanto l’evento su cui puntava la grande speculazione dei fondi hedge americani, per ora non si è compiuto ed allora le armi della speculazione si sono spostate su un altro grande malato: il nostro paese.

Da alcuni giorni è in atto un primo attacco speculativo contro l’Italia, con il raddoppio dello spread BTP-Bund, l’innalzamento dei rendimenti sui nostri titoli decennali al 6% circa ed il pesante arretramento del nostro indice di borsa ai livelli del minimo estivo del 2009, trascinato al ribasso dal crollo dei titoli bancari.

La prima fase dell’attacco è stata rintuzzata grazie all’appello del nostro Presidente della Repubblica all’unità nazionale, che ha spinto l’opposizione a consentire l’approvazione in tre giorni della manovra tremontiana da 40 miliardi (che però non basteranno) per raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2014.

La sofferenza però non è finita e questa mattina banche italiane ed indice sono nuovamente sotto pressione, nonostante l’esito positivo (ma largamente previsto) degli stress test applicati venerdì scorso dalla BCE.

Questo sono i fatti. Dobbiamo però entrare nel dettaglio per cercare di comprendere meglio ciò che sta succedendo.

I fondi hedge e le grandi banche d’affari, dopo le scorrerie degli ultimi due anni sui mercati azionari, che hanno portato gli indici a recuperare quasi tutto il terreno perso dopo il 2007, a dispetto dell’economia che ha ancora il fiato molto corto, da qualche mese hanno in testa che i soldi nel prossimo futuro si faranno attaccando l’euro, che non può durare così come è congegnato.

Ogni occasione adatta a buttare giù l’euro va sfruttata, magari con l’aiuto delle agenzie di rating che, come abbiamo già visto in passato, spargono sale sulle ferite con i loro downgrade, e con la compiacenza del governo americano, che non a caso si oppone alle misure più efficaci contro la grande speculazione ed il conflitto di interesse delle agenzie di rating.

Tutto questo assomiglia ad una guerra. Gli ultimi anni ci hanno mostrato quanto sia costoso e politicamente perdente avventurarsi nelle guerre vere e proprie. Oggi le guerre per il dominio del mondo si combattono sui mercati, dove gli attacchi concentrici della speculazione riescono ad abbattere i nemici molto più in fretta e senza spargimento di sangue delle armi vere.

E’ stato penoso vedere i governanti di Grecia, Irlanda e Portogallo col cappello in mano davanti alla UE, accettare che la loro politica economica venga decisa a Bruxelles, rinunciando alla propria sovranità. Scene non molto diverse abbiamo rivisto in questi giorni nel nostro paese, con Tremonti che fa la spola tra Bruxelles e Roma per scrivere sulla manovra le richieste della Commissione UE e l’opposizione che deve accettare di abbassare la testa e favorire, per il bene del paese, l’approvazione di un provvedimento che non piace affatto.

Quella che si sta combattendo è la guerra dell’euro. I singoli stati che vengono attaccati non sono che battaglie nell’ambito della strategia bellico-finanziaria. Dopo la Grecia, l’Irlanda ed il Portogallo, si è presentata l’occasione Italia, quando si è verificata la magnifica combinazione di un governo indebolito dalle sconfitte elettorali, dalle liti con la Lega e dai guai giudiziari del premier e (indirettamente) del mago Tremonti. La presentazione di una manovra finanziaria che in sostanza sposta il risanamento al 2013 è stato il pretesto per aumentare il livello dell’assalto alla diligenza dell’euro.

In realtà non mi pare che l’attacco sia già stato portato fino in fondo. C’è da ritenere che il primo attacco servisse a saggiare le capacità di risposta di Roma e di Bruxelles.

Per ora sembra che Roma abbia risposto abbastanza bene in termini di rapidità, meno bene in termini di qualità della risposta. E’ di stamane la nota di Moody’s che mette nel mirino per un eventuale declassamento i debiti delle regioni e degli enti locali, di cui la manovra sottrae copiose risorse e penalizza i bilanci.

Credo comunque che i mercati continueranno a monitorare attentamente la situazione politica italiana prima di assestare altri affondii. E’ presumibile che l’opposizione insista nel chiedere la testa di Berlusconi. Anche i mercati la vogliono. Io penso che se si facesse rapidamente una crisi e Tremonti sostituisse Berlusconi gli attacchi cesserebbero e le locuste della speculazione andrebbero

 

a mangiare in Spagna. Tuttavia Tremonti è sulla graticola per colpa dei guai giudiziari del suo principale collaboratore, una pentola scoperchiata dalla Procura di Napoli, che continua ogni giorno a suscitare interrogativi sul ruolo del nostro Ministro dell’Economia. Non può quindi essere escluso l’esito di un Tremonti che si dimette e lascia la Banda Bassotti berlusconiana alla guardia del forziere. Tale evento potrebbe scatenare il panico negli investitori internazionali e precipitare la situazione, a dispetto di tutte le manovre finanziarie approvate, del plauso di Napolitano e delle buone intenzioni ufficiali.

Le agenzie abbasserebbero il rating e la speculazione tornerebbe a banchettare.

Assai discutibile e certamente poco lucido mi è parso il comportamento di Bruxelles. Gli euro-burocrati si sono limitati a negare che ci sia un problema Italia, affermando che non bisogna neanche prendere in considerazione l’ipotesi di una crisi di insolvenza italiana, poiché non ci sarebbero le risorse per fronteggiarla. E’ una esplicita ammissione di impotenza.

Intendiamoci: quel che dicono è vero. Finora nelle loro riunioni non sono mai arrivati ad ipotizzare di dover aiutare il nostro paese. Il Fondo Salva-stati nell’attuale versione è dimensionato per evitare i possibili default di Grecia, Irlanda e Portogallo, puntualmente avvenuti. Quello potenziato che entrerà in vigore nel 2013 è tarato per riuscire a difendere anche la Spagna.

Per ora non è prevista la copertura per l’Italia. Del resto ci vorrebbe una coperta di dimensioni enormi, che certamente i tedeschi non hanno voglia di confezionare. 

L’Italia è infatti il terzo debitore al mondo, dopo USA e Giappone. Il nostro debito pubblico ammonta a circa 1.900 miliardi di euro (120% del PIL). Secondo i dati di Bloomberg esso è superiore a quello di Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna messi assieme. Nei prossimi due anni il nostro paese dovrà rifinanziare circa 500 miliardi di euro di titoli in scadenza.

Questi numeri ci dicono perciò semplicemente che ci troviamo di fronte ad un altro tipico esempio di “too big to fail”. In caso di vera crisi finanziaria l’Italia sarebbe indifendibile e trascinerebbe sicuramente sul lastrico l’intero sistema finanziario mondiale, poiché tutte le grandi banche sono esposte sul nostro paese.

Questa situazione di estrema vulnerabilità è perciò anche un punto di forza, poiché gli stessi grandi operatori che nei giorni scorsi hanno venduto Italia a piene mani dovrebbero sapere che il boccone che tentano famelicamente di divorare è talmente grosso che potrebbe soffocarli.

Infatti attaccare un colosso del debito, come siamo noi, impone la messa in gioco di esposizioni ribassiste veramente imponenti, col rischio di saltare per aria se la scommessa venisse persa. Ma se venisse vinta lo scenario non sarebbe comunque per loro molto roseo, poiché si potrebbe innescare la reazione a catena dell’insolvenza su tutte le grandi banche e la fusione del sistema finanziario mondiale.

Chiunque dotato di raziocinio dovrebbe sapere che non ha senso rischiare di morire soffocati per voler a tutti i costi buttar giù un boccone troppo grosso. Tuttavia in natura si vedono frequentemente animali morti con la preda nel gargarozzo, poiché la brama di mangiare offusca la mente e trascina alla rovina. La brama di guadagnare potrebbe avere gli stessi effetti.

Fuor di metafora, abbiamo già visto negli anni 2004-2007 mettere in piedi un castello di carta straccia sui mutui USA, sulla base del fatto che i prezzi delle case, su cui tutto si reggeva, dovevano salire all’infinito. Cosa che qualunque mente sana avrebbe dovuto palesemente smascherare come una sciocchezza. Eppure la brama di guadagno facile ha offuscato le menti dei manager delle grandi banche e pompato su questi strumenti una leva finanziaria mai vista prima, tanto da spingere il sistema al collasso del 2008, dopo che i prezzi delle case cominciarono a scendere.

E’ proprio quella crisi che ha prodotto l’immondizia finanziaria che si continua a spostare da una parte all’altra, come a Napoli, ma che torna all’infinito a spargere i suoi miasmi nel sistema.

Il problema di questi giorni è che anche dall’altra parte dell’Atlantico si sta scherzando col fuoco, come se non bastasse il gioco al massacro che si vede in Europa.

Mi riferisco alla strana gara a chi toglie per ultimo il piede dall’acceleratore, che si sta giocando alla Casa Bianca. Si sa che se il Parlamento USA non approva entro il 2 agosto la norma che alza il tetto del debito pagabile degli USA al di sopra dell’attuale cifra di 14.300 miliardi di dollari scatterà automaticamente il blocco dei pagamenti ed verrà dichiarata l’insolvenza.

Il tempo stringe. Mancano tecnicamente pochissimi giorni all’ora X, poiché i passaggi parlamentari richiedono una decina di giorni per trasformare l’accordo in legge.

A Washington l’accordo politico tra Obama e repubblicani non si trova. Questi ultimi per approvare il rialzo del tetto debitorio chiedono enormi tagli alle spese pubbliche che smantellerebbero in buona parte il Welfare americano. Obama ribatte che la medicina deve comprendere oltre ai tagli, che colpiscono i sussidi ai poveracci, occorre eliminare il trattamento fiscale privilegiato a vantaggio dei ricchi, concesso da Bush e confermato, turandosi il naso, da Obama lo scorso anno.

Si è allo stallo e nessuno vuole cedere, benché l’orologio avanzi imperturbabile verso il punto di non ritorno.

Tutti, anche i mercati, sono convinti che sul filo di lana l’accordo arriverà, poiché in mancanza le conseguenze sarebbero terrificanti: blocco dei pagamenti, dichiarazione di default tecnico, declassamento del rating, esigibilità dei CDS, liquidazione di ingenti quantità di bond, minusvalenze a catena per tutte le banche.

Ma che succederebbe se i due contendenti tirassero la corda fino alla fine nella convinzione che sarà l’altro a cedere? La stupidità umana sa raggiungere vette incredibili…

Ci attende quanto meno un’estate movimentata.

 

 

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