Analisi sui mercati finanziari a cura di Pierluigi Gerbino

Docente di Economia - 4° class. al Campionato Italiano di Trading Top Trader 2000

 

Anno 2009  -  Settembre

 

 

 

 

 

RIPRESA O BLUFF?

 

COMMENTO

 

Casella di testo: Nessuno ha la sfera di cristallo. Le opinioni e le previsioni di questo report derivano dall’applicazione di tecniche di analisi e dall’esperienza diretta dell’autore. Si garantisce  scrupolo ed indipendenza nelle analisi. L’esattezza delle previsioni non può garantirla nessuno. Agosto non ha portato molte novità sui mercati finanziari. Infatti il rialzo dei mercati azionari non è affatto una novità. Le Borse hanno completato la loro salita verso gli obiettivi del rimbalzo di medio periodo. Fin dal 17 marzo avevo indicato “quota 1.000” come obiettivo per l’indice SP500, precisando poi il 23 giugno che tale quota avrebbe potuto essere raggiunta in agosto, magari con un’estensione non oltre quota 1.050.

Detto fatto, SP500 ha toccato quota 1.039 il 28 agosto, per poi correggere per 4 giornate al di sotto dei 1.000 punti e recuperare metà del calo nei giorni seguenti.

Quella in atto è al momento classificabile come “mini-correzione”, non ancora in grado di mutare l’impostazione chiaramente rialzista del trend di medio periodo, e nemmeno di quello di breve. Anzi, non è escluso che nei prossimi giorni il massimo di 1.039 possa addirittura essere ritoccato ancora all’insù, anche se qualche segnale di stanchezza si intravede chiaramente.

 

I DATI DI FATTO

La dinamica del movimento ha comunque evidenziato alcuni chiari dati di fatto:

1)     L’importanza, come resistenza alla salita, dell’area compresa tra 1.000 e 1.050: si tratta del massimo rimbalzo avvenuto dopo il crack Lehman, la presa di coscienza da parte dei mercati della gravità e della profondità (anche in senso temporale) della devastazione provocata dalla “bolla subprime”. Evidentemente per superare tale livello occorre una percezione abbastanza generalizzata che la recessione sia finita e che la ripresa sia iniziata. Non basta la fine della pioggia, occorre che torni a splendere il sole. Se manca questa percezione, quelli che sono entrati per tempo sul mercato ora approfittano di quota mille per alleggerire le posizioni.

2)     Il mercato ha realizzato il suo obiettivo nei tempi dovuti, anzi, persino un po’ in anticipo.

Non solo. Il movimento è stato estremamente lineare e con una sola correzione degna (a fatica) di tal nome: quella intercorsa tra l’11 giugno e l’8 luglio. Nella storia recente non si vedono altri movimenti paragonabili per ampiezza e velocità a questo. La dinamica della salita assomiglia a quella che si ebbe nel 2003, al termine del mercato orso. Ma allora il mercato per fare la stessa strada di questa volta impiegò 11 mesi, mentre ora ne ha impiegati la metà.

Ciò dimostra quanto il rimbalzo abbia colto di sorpresa i più, che sono stati “tagliati fuori” e costretti ad inseguire il mercato al rialzo. A mio parere dimostra anche quanto sia stato “pilotato” da chi può farlo e da chi aveva interesse a farlo. In altri termini, “il sistema” delle banche d’affari, che tante illusioni e danni ha provocato in questo decennio, e che sembrava spazzato via dalla crisi, dopo i salvataggi attuati dai governi occidentali, ha ripreso in mano in gran parte il controllo del mercato e ne ha forzato la direzione in modo estremamente speculativo. L’argomento “mercato pilotato” merita ulteriori riflessioni che in questa sede preferisco evitare e rinvio ad un successivo intervento.

Tuttavia la valenza del dato è estrema, perché rivela una spaventosa autoreferenzialità del mercato indipendentemente da quel che succede fuori. Pare quasi che debba essere l’economia ad adattarsi alla direzione che i mercati “devono” seguire, invece del contrario. Di questo dovremo ricordarci a lungo e non sorprenderci più di tanto se i mercati andranno per conto loro a prescindere dall’andamento dell’economia.

3)     La salita del mercato si è accompagnata alla discesa dell’indice VIX, che rappresenta la misura della volatilità implicita incorporata nei prezzi delle opzioni sull’indice SP500, e che io chiamo “l’indice della paura”, poiché sale quando i mercati crollano e scende quando i mercati salgono senza problemi.

Dai massimi di quasi 90 dell’ottobre 2008 il VIX è sceso costantemente fino ai 23 punti toccati a fine luglio.

Da allora però, nonostante i mercati azionari siano ancora saliti, il VIX ha dato segni di recupero  con il superamento di quota 30, ma soprattutto sembra voler iniziare un trend rialzista, che in  passato ha sempre avviato inversioni ribassiste di un certo peso sui mercati azionari.

Come si vede, stiamo arrivando ad un punto di svolta alimentato fin qui dalle attese di rapida ripresa dell’economia.

Data la spettacolarità del movimento di rimbalzo dei mercati azionari (tutti!), una fase correttiva è quanto di più naturale attendersi. Le correzioni però si possono esprimere in termini di valore oppure in termini di tempo. Avremo il primo tipo di correzione, con significativa discesa degli indici, se si affermerà la percezione di aver finora messo il carro dei mercati un po’ troppo davanti ai buoi dell’economia. In tal caso la dominanza del trend principale ribassista tornerà a farsi evidente.

Si perderà invece soprattutto “tempo”, con una fase più che altro laterale, se si scoprirà che i buoi dell’economia sono in realtà dei torelli scalpitanti e si consoliderà una ripresa tale da far dimenticare le sofferenze della recente recessione. Pertanto dopo la pausa i mercati potranno lanciarsi in un nuovo sfrenato rally di fine anno.

Per tentare di dare delle probabilità alle due ipotesi abbiamo come al solito i due strumenti classici a disposizione: l’analisi dei fondamentali economici e l’analisi dei grafici.

In questo primo intervento dopo la pausa estiva proverei a valutare la situazione economica americana, da cui dipende come sempre tutto il resto del mondo, lasciando ad un successivo intervento l’analisi grafica dei mercati azionari.

L’andamento dell’economia reale negli USA, e di conseguenza nel resto del mondo, rivela il conseguimento, in tempi tutto sommato più rapidi del previsto, dell’obiettivo di stabilizzazione perseguito dalle autorità politiche e monetarie.

Il PIL del secondo trimestre ha mostrato ancora un calo, sebbene a velocità assai più contenuta che in precedenza (-1% annualizzato contro il -6% del 1° trimestre). Però i segnali che sono giunti in luglio ed agosto parlano di effettiva stabilizzazione e lasciano prevedere un risultato del trimestre in corso abbastanza positivo. Il punto di svolta pare essere raggiunto. In Europa Germania e Francia hanno addirittura anticipato gli USA nella svolta, realizzando PIL timidamente positivi già nel 2° trimestre.

 

LE BUONE NOTIZIE

Se vogliamo entrare nel dettaglio, alcuni indicatori mostrano segnali confortanti. Ricordo innanzitutto la ripresina del settore immobiliare, con le vendite di case che in estate hanno ricominciato ad aumentare, dopo molti mesi di calo. Anche i prezzi medi nelle 20 principali città americane, rappresentati dall’indice Case-Shiller, per la prima volta da quasi due anni hanno mostrato una modesta crescita.

Se il settore immobiliare è stato il primo ad annunciare la recessione, il fatto che mostri qualche segno di ripresa è sicuramente incoraggiante.

Degno di nota è anche il recupero del livello di neutralità nelle aspettative dei managers segnalato dall’indice ISM, tornato a circa 50 punti (poco sopra quello manifatturiero, poco sotto quello dei servizi), dopo essere stato in area 30 nei momenti bui della crisi.

Infine le scorte delle imprese tornano a crescere, dopo il crollo invernale seguito al blocco della produzione del primo trimestre, e contribuiscono all’incremento del PIL del trimestre in corso.

 

LE AMBIGUITA’

I dati positivi però finiscono qui. Per continuare l’elenco occorre passare a quelli “non negativi” o ambigui.

Citiamo allora il lieve miglioramento dei consumi, legato però esclusivamente agli incentivi di Obama, che sono transitori. Quelli per la rottamazione delle auto sono finiti ad agosto, quelli per l’acquisto e la ristrutturazione delle case stanno finendo. La sensazione è quella che la volontà di spesa dei consumatori americani, senza gli aiutini federali, sia ancora assai flebile. D’altra parte non possiamo dimenticare che gli acquisti “incentivati” sono spesso anticipazioni di spese che si sarebbero effettuate in futuro, per cui questa anticipazione sottrarrà carburante ai consumi futuri, quando gli incentivi finiranno.

Un altro dato che sembrava incoraggiante è la ripresa della fiducia dei consumatori dai minimi di inizio anno. Però gli indici che la misurano in estate sono tornati un po’ sui loro passi, a causa del timore per un autunno grigio e costringono a sperare in settembre.

L’andamento dei tassi di interesse e del mercato obbligazionario da circa tre mesi sta registrando un calo sia sui prestiti a breve che sul lungo periodo, benché il loro valore sia ai minimi storici (per quelli a breve) o vicinissimo ai livelli del panico dell’autunno scorso (per i decennali): segno di una certa stabilizzazione del settore bancario, che sta continuando a recepire gli stimoli espansivi delle autorità monetarie e riduce i tassi a breve. Non posso dire che sia tornato a fare normalmente il mestiere di prestare soldi, perché le restrizioni e le attenzioni nell’erogazione del credito sono ancora molto forti, però un certo miglioramento della fiducia si vede. Tuttavia il ribasso dei tassi a lunga riflette anche un certo scetticismo per le prospettive di ripresa e le attese che la politica accomodante rimarrà in vigore ancora per parecchio tempo. Strano comportamento, dato che tutti i guru, che consigliano i grandi investitori istituzionali attivi sul mercato dei bonds, hanno ormai affermato che il peggio è passato e la ripresa è già qui.

Le trimestrali societarie all’apparenza hanno brillato, poiché per circa il 70% dei casi gli utili hanno battuto le stime degli analisti. Il risultato è però stato soprattutto merito della forte aggressività del management nel ristrutturare, per recuperare efficienza grazie al taglio dei costi, pur in presenza di ricavi stagnanti: segno di vitalità ma non certo di ripresa. La sostenibilità degli utili dovrebbe derivare da aumenti delle vendite, poiché non si può ristrutturare e tagliare i costi all’infinito.

In tema di trimestrali va sottolineata l’ambigua “risurrezione” dei bilanci delle grandi banche, quelle salvate un anno fa da Bush e Paulson perché “too big to fail”. Le trimestrali sono state tutte abbellite da operazioni di trading e taroccate dalla valutazione “personalizzata” dei titoli tossici, che consente di nascondere il marcio sotto il tappeto e rinviare le svalutazioni fino alla scadenza, o almeno fino al bilancio di fine anno. Il ritorno a corposi utili “finti” ha permesso ad alcune di loro di restituire i prestiti ad Obama e di far ripartire la giostra dei bonus e della finanza creativa, come se nulla fosse successo, con la benevola “distrazione” dei controllori, che si limitano a far prediche e convegni, mentre al prossimo G20 proporranno il ridicolo bonus-malus, per legare i compensi non soltanto agli utili ma anche alle perdite. Se si consente di truccare i bilanci non vedo dove possano emergere i malus.

 

 

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