Analisi sui mercati finanziari a cura di Pierluigi Gerbino
Docente di Economia - 4° class. al Campionato Italiano di Trading Top Trader 2000
Anno 2009 - Novembre
COMMENTO
Il mese di ottobre ha superato la
metà dei suoi giorni e sui mercati si continua a vedere lo stesso film che stiamo
vedendo da metà marzo “Bear market rally: la vendetta”. E’ vero che siamo al
secondo tempo, dopo che abbiamo gustato il primo tempo da metà a marzo a metà
giugno ed abbiamo vissuto il classico intervallo fino a metà luglio. Da allora
è cominciato il secondo tempo di una storia che, un po’ noiosamente, continua
ad essere più o meno sempre la stessa.
E’ una storia che ci parla di recupero dei mercati, che proseguono nel loro rialzo senza tentennamenti, nella speranza che la fine della crisi si trasformi nell’inizio della ripresa economica.
Salgono i mercati azionari, salgono le materie prime, sale l’oro, salgono (un po’ meno linearmente, ma salgono) anche i prezzi dei bond governativi e dei corporate bond, che vengono emessi in quantità industriale e assorbiti dal mercato con una fame senza precedenti. Infine sale anche l’euro-dollaro, ma in questo caso, trattandosi di un cross valutario, la salita dell’euro coincide con la svalutazione del dollaro.
Contemporaneamente scende tutto quello che potrebbe segnalare la paura per il futuro finanziario: scende il VIX, l’indice della paura sull’azionario, che ha superato anche i suoi minimi annuali precedenti ed è arrivato a toccare quota 20, mentre continua a scendere lo spread di rendimento tra i debitori migliori ed i peggiori e tra i corporate bond ed i bond governativi.
Ad un primo sguardo superficiale e complessivo verrebbe da giudicare questo copione molto semplicemente come la presa d’atto che la crisi è finita e stiamo tornando rapidamente alla normalità. Non c’è quindi alcun bisogno che Gerbino si scomodi a fare l’avvocato del diavolo. Ci lasci guardare in pace questo film a lieto fine, che dovrebbe coincidere con la legittima aspettativa che guadagnino tutti, per una volta.
La famosa “Legge di Murphy” però afferma che “una cosa troppo bella per essere vera… è falsa”.
Perciò Gerbino non può fare a meno di calarsi nel ruolo di quegli antipatici critici cinematografici, che stroncano i polpettoni d’evasione (avete presente i film di Natale, quelli di Boldi e De Sica?) anche se piacciono molto al pubblico meno sofisticato.
TROPPO BELLO PER DURARE
Ed allora cominciamo a notare che mai come in questo momento i mercati azionari e quelli che ruotano intorno ad essi sono stati così lontani da quel che la realtà dell’economia ci sta facendo vedere. Per vedere una distanza paragonabile dobbiamo andare indietro all’autunno di 2 anni fa, quando testardamente i mercati vennero spinti a realizzare un nuovo massimo assoluto (i principali: DAX e SP500; non il nostro che il massimo l’aveva fatto a maggio ed in autunno era già in calo) quando dall’economia erano arrivati già i primi chiari segnali di recessione e nel mondo della finanza malata erano già scoppiate le prime bombe dei fallimenti da subprime.
Ora siamo di fronte ad una situazione simile, in termini di disallineamento tra realtà e percezione della medesima. Per comprenderlo basta guardare che cosa l’economia americana (prendiamo quella perché è lì che si decide la direzione di tutti i mercati) abbia recuperato dopo la profonda mazzata recessiva di ben 6 trimestri di PIL in calo. Per ora poco o nulla. Infatti abbiamo avuto qualche notizia positiva dagli indicatori “leading” cioè quelli che registrano aspettative, che si sono ripresi, anche se ultimamente faticano a mantenere i livelli raggiunti in estate. Dall’economia reale abbiamo segni chiari di stabilizzazione. Stabilizzazione significa fine del calo, non certo inizio di recupero. Oltretutto il fronte occupazionale continua a perdere posti di lavoro. E’ normale perché prima di assumere bisogna essere sicuri che la ripresa sia iniziata veramente. Tutto ciò significa però che la ripresa non c’è ancora.
C’è stato, è vero, un po’ di recupero degli utili aziendali nel secondo trimestre e, per il poco che si è finora visto dai dati societari comunicati, anche nel terzo trimestre. Il grosso delle trimestrali però deve ancora arrivare. Tuttavia una cosa che non quadra è vedere che gli utili migliorano, ma assai meno i fatturati. Anzi in molti casi si vede la strana accoppiata “utili in aumento e fatturato in calo”.
Significa che i managers tagliano i costi e i dipendenti ma non riescono ad aumentare le vendite. Fino a quando potranno continuare a farlo? Possiamo sperare in una ripresa se non aumentano i fatturati? Che cosa dobbiamo dire delle vendite al dettaglio che in settembre, finiti gli incentivi sulle auto, sono calate dell’1,5%?
Dal mondo delle trimestrali bancarie vengono invece segnali contrastanti. Peggiorano i risultati delle banche che fanno le banche. Il credito erogato non aumenta, mentre aumentano le sofferenze e si riducono i margini di intermediazione. Gli utili perciò calano o diventano perdite. Tra le banche americane medio-piccole (quelle che possono fallire) il conteggio dei fallimenti del 2009 ha già superato quota 100. Anche le banche più grandi non gioiscono. Citigroup, che tra i colossi è quello più “banca tradizionale”, ha perso oltre 3 miliardi di dollari nel 3° trimestre. Bank of America 1 miliardo.
Per le banche che fanno trading, invece, gli utili esplodono. La ripresa dei mercati ha gonfiato i profitti da trading delle banche d’affari. La mitica Goldman Sachs ha consegnato al pubblico una trimestrale che evidenzia 10 miliardi di dollari di profitti da trading, con un utile trimestrale di 3 miliardi. JP Morgan, grazie ai ricavi da trading obbligazionario ha quintuplicato gli utili, portandoli a 3,6 miliardi di dollari. Detto per inciso, gli accantonamenti di queste due banche d’affari per pagare bonus a fine anno sono già arrivati a 22 miliardi di dollari. Al G20 non ci hanno detto “basta bonus”?
Avevo già evidenziato in passato come l’aumento del potere di mercato, che le poche grandi banche d’affari rimaste hanno a loro disposizione in seguito alla scomparsa della maggior parte delle concorrenti (fallite o assorbite), possa nuocere alla trasparenza del mercato. Queste trimestrali ci confermano purtroppo il filo rosso che unisce i profitti delle banche con la salita dei mercati, che vengono spinti al rialzo dalle operazioni di trading delle banche stesse. Un circolo virtuoso (o vizioso?) che ha distrutto i fondamenti del mercato e consegnato un enorme potere manipolatorio nelle mani di queste due o tre banche.
Avanti di questo passo il mercato assomiglierà sempre più ad una bisca dove alcuni giocatori hanno le carte truccate. Con la completa negligenza delle autorità, che per ora assecondano questa pratica perché fa comodo che i mercati salgano. Bisogna diffondere fiducia. Se ne accorgeranno quando queste due o tre banche, preso atto dell’eccessivo scollamento tra valori di borsa ed economia, decideranno che è venuto il momento di fare utili al ribasso anziché al rialzo. Allora vedrete che le autorità scopri ranno l’acqua calda.
Torniamo allo scollamento tra economia reale e mercati. L’economia reale abbiamo visto che ha recuperato pochissimo dai livelli minimi raggiunti nel pieno della recessione.
I mercati azionari principali invece hanno recuperato quasi il 50% dell’intero calo dai massimi del 2007. Il nostro no, è fermo intorno al 35%.
Comprendo che le borse abbiano reagito all’eccesso di pessimismo che si è avuto nei primi tre mesi di quest’anno, quando sembrava che il modo dovesse finire e tutte le banche dovessero chiudere.
L’aver scoperto che il mondo non è finito e che l’inondazione di liquidità e di spesa pubblica ha salvato l’economia mondiale dal baratro, giustifica un bel rimbalzo. Tuttavia recuperare metà del calo è eccessivo, anche perché dobbiamo considerare che il precedente rialzo si era portato ben oltre i livelli compatibili con l’economia.
A spanne possiamo valutare che l’attuale livello del mercato azionario sarebbe compatibile con un’economia che avesse recuperato almeno i 2/3 del calo del PIL portatoci dalla recessione.
Per ora l’economia non ha recuperato quasi nulla. Lo farà prossimamente?
Lo speriamo, ovviamente. Ma l’ottimismo della volontà non può oscurare il realismo della ragione.
Altrimenti il risveglio dal sogno potrebbe essere molto spiacevole.
QUALCUNO STA SBAGLIANDO
Se guardiamo ai mercati con un po’ di attenzione ci accorgiamo che vi è un’altra questione di notevole portata che non quadra. Si tratta della relazione “intermarket” che tradizionalmente lega l’impostazione dei vari mercati. Questa regola di comportamento pare ora saltata.
Mi spiego meglio. Come sanno tutti coloro che frequentano i mercati da un po’ di tempo, i mercati obbligazionari scontano l’andamento futuro dei tassi, i mercati azionari scontano l’andamento futuro degli utili, quindi della crescita economica, i mercati delle materie prime ed ancor più quelli dei metalli preziosi (beni rifugio) sono invece sensibili all’inflazione.
Pertanto normalmente l’analisi comparata del comportamento di tali mercati evidenzia alcune “regole” abbastanza ricorrenti:
1) Quando i mercati azionari salgono in modo significativo quelli obbligazionari non salgono, anzi tendono a scendere e viceversa. Il motivo è che una crescita dell’azionario sconta una forte crescita dell’economia, che si accompagna a tassi di interesse in aumento, perché le autorità monetarie cercano così di prevenire o contrastare le spinte inflazionistiche. Pertanto il mercato obbligazionario flette.
2) Quando i mercati dei metalli preziosi salgono quelli obbligazionari scendono e viceversa. Il carattere di “beni rifugio” dei metalli preziosi ne consiglia l’acquisto quando si teme un inasprimento dell’inflazione e la perdita del potere d’acquisto del denaro. In tempi di inflazione i rendimenti reali scendono, per cui i prezzi sui mercati obbligazionari flettono.
Queste due regole di correlazione si verificano quando le attese degli operatori circa il futuro dell’economia convergono. Possono esserci situazioni di allontanamento da questi equilibri quando si verificano fasi di grande incertezza sugli scenari futuri oppure nei punti di svolta dell’economia.
Sembra proprio che si stia verificando una situazione di questo tipo.
Infatti salgono sia l’azionario che l’obbligazionario. Il primo evidentemente sconta una forte ripresa a V. Il secondo sembra prevedere addirittura deflazione, possibile solo se la crisi continuerà a far marcire l’economia.
Inoltre salgono sia il mercato obbligazionario che l’oro. Se il primo sconta deflazione, il secondo annuncia inflazione.
Tutto ciò non ha molto senso. E’ come se gli operatori fossero impazziti, o se questi mercati fossero trainati da forze che hanno perso ogni contatto con l’economia, oppure se l’andamento futuro dell’economia fosse così illeggibile da portare gli operatori ad assumere come plausibile tutto ed il suo contrario.
A volte queste cose succedono. Gli esperti chiamano “bolle” queste situazioni di scostamento dai fondamentali.
Il problema è che non sappiamo quanto queste situazioni possano durare. Tuttavia possiamo essere certi di due cose:
1) Sui mercati qualcuno sta sbagliando. Per ora non sappiamo chi. Tuttavia non è possibile continuare ad avere ragione tutti per molto tempo, investendo su scenari opposti. Se verrà la ripresa economica avranno avuto ragione i rialzisti sull’azionario e sull’oro, mentre gli investitori in obbligazioni subiranno perdite in conto capitale. Se avremo un esito dell’economia a “W” con una seconda gamba recessiva e l’affermazione di uno scenario di deflazione prolungata, vorrà dire che avranno sbagliato quelli che continuano a comprare azioni. Potrebbero aver avuto ragione anche coloro che comprano oro, se la depressione stimolerà nuove ondate di panico e si diffonderà la paura della fine del mondo (finanziario). La festa per gli obbligazionisti potrebbe continuare, ma solo per quelli investiti sui titoli governativi più affidabili, non certo chi punta sui corporate bond o sul debito dei paesi emergenti.
2) Prima o poi i nodi verranno al pettine. Mi rendo conto che sia poco soddisfacente l’affermazione “prima o poi”. E’ tipica di chi si abbandona chiacchiere e prescinde dal confrontarsi col tempo. Chi opera invece è interessato anche ad avere qualche indicazione circa il “quando”.
Ebbene: probabilmente il tempo della resa dei conti si sta avvicinando a grandi falcate.
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