Analisi sui mercati finanziari a cura di Pierluigi Gerbino

Docente di Economia - 4° class. al Campionato Italiano di Trading Top Trader 2000

 

Anno 2010  -  Novembre

 

 

 

 

 

IL MONDO ALLA ROVESCIA

 

COMMENTO

 

Il mese di ottobre sta portando nuova confusione tra gli operatori dei vari mercati, che reagiscono in modo scomposto e apparentemente poco lineare alle notizie sull’andamento dell’economia mondiale che si susseguono quotidianamente.

Cerchiamo allora di fare sinteticamente il punto innanzitutto sulla situazione dell’economia.

Tutti i dati macroeconomici ci parlano di problemi significativi da parte degli USA a mantenere un ritmo di crescita decente nel terzo trimestre, e di una possibile ulteriore frenata nell’ultimo trimestre, che potrebbe vedere ridotta al lumicino la variazione positiva del PIL.

Casella di testo: Nessuno ha la sfera di cristallo. Le opinioni e le previsioni di questo report derivano dall’applicazione di tecniche di analisi e dall’esperienza diretta dell’autore. Si garantisce  scrupolo ed indipendenza nelle analisi. L’esattezza delle previsioni non può garantirla nessuno. Terminato il grosso degli incentivi e con la ricostituzione delle scorte ormai completata, gli americani non trovano motivazioni ad incrementare i loro consumi, ma piuttosto ad aumentare il risparmio per rimborsare parte dei debiti pregressi, accumulati da molti anni di consumismo spensierato a colpi di carta di credito. Molti di loro si ritrovano nell’incapacità di pagare le rate del mutuo ed hanno un capitale residuo da versare superiore al valore dell’abitazione data a garanzia. Si susseguono pertanto i fallimenti personali con interruzione dei versamenti delle rate ed i pignoramenti in settembre hanno raggiunto livelli record ed impongono nuove sofferenze alle banche americane.

D’altra parte anche il mercato del lavoro, che ha ricominciato a perdere occupati, non aiuta a vedere rosa nel futuro prossimo, e riflette la scarsa fiducia degli imprenditori, che investono qualcosa in tecnologia, poiché questi investimenti servono a ridurre l’occupazione ed aumentare la produttività, e sono necessari per stare al passo con i tempi, ma non sono affatto interessati ad aumentare la capacità produttiva e ad assumere.

Tutto ciò avviene benché le condizioni del credito siano assolutamente favorevoli, i tassi di interesse a livello infimo ed una certa disponibilità da parte delle banche ad erogare finanziamenti a progetti di qualità.

E’ la classica situazione descritta nei libri di economia, chiamata “trappola della liquidità”, che stiamo vedendo all’opera da 20 anni in Giappone.

Quando la recessione è troppo violenta e prolungata, ed intacca la fiducia collettiva nelle prospettive future, non serve a nulla erogare prestiti facili, perché nessuno investe in mancanza di prospettive, neanche se il denaro costa nulla.

La soluzione che la Federal Reserve ha deciso di attuare è la seconda edizione del Quantitative Easing, chiamata sui media “QE 2.0”, cioè l’acquisto di titoli di stato per tenere alte le quotazioni dei bond governativi e bassi i tassi a lungo termine, finanziando così il debito del bilancio federale in costante crescita. Si tratta perciò di pura e semplice stampa ed immissione di moneta, che andrà ad allagare il sistema con nuova liquidità a costo zero.

Proprio quella liquidità, faccio notare, che è già fin troppo presente sul mercato e che pochi stanno usando per investimenti produttivi. Quella liquidità che non è riuscita a mettere in moto il volano della crescita e non ha evitato la ricaduta nell’incertezza della stagnazione.

A mio parere ci sono molte probabilità che, come è già successo nel 2009, la nuova ondata di dollari non riesca neanche questa volta a rianimare l’economia USA, ma finisca per alimentare la grande speculazione guidata dalle banche d’affari, che hanno un potere di manipolazione dei mercati finanziari sempre più grande. Servirà, come nel 2009, al pompaggio delle borse, alla creazione di nuove bolle speculative per fare ricchi utili e bonus. Poi si vedrà. Se le bolle scoppieranno ci sarà sempre la mano pubblica che salverà ancora una volta i colossi “too big to fail”.

Se la situazione è drammatica in USA, a giudicare da quel che si vede nelle statistiche dei mesi estivi, in Europa una certa crescita pare invece avviata, soprattutto in Germania.

Ma anche in Europa le previsioni per i prossimi trimestri parlano di marcato rallentamento, per colpa dell’euro tornato a crescere e delle misure fortemente restrittive, da “exit strategy”, che i governi hanno deciso di adottare. Saranno soprattutto i PIGS europei (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna) a dover tirare molto la cinghia dei bilanci pubblici, con manovre pesantissime, per rientrare dai cospicui deficit pubblici anticrisi del 2009 e 2010, ma anche Germania e Francia non sono immuni da sacrifici e Sarkozy sta toccando con mano la protesta sociale che i tagli hanno suscitato. Il nuovo “Patto di Stabilità” che i leader approveranno nei prossimi giorni, nonostante i miracoli diplomatici di Tremonti, rischia di essere poi una mannaia sul bilancio pubblico della nostra povera Italia, poiché obbligherà i paesi ad alto debito a mettere in piedi manovre annuali di rientro di entità cospicua.

Tremonti per ora ha bloccato la proposta della commissione europea di istituire il rientro automatico di 1/20 del differenziale del rapporto debito/PIL al di sopra del 60%. Ciò sarebbe costato manovre annuali aggiuntive da circa 45 miliardi per il nostro governo (il doppio di quella d’agosto) per almeno 3 anni. Sembra che a fine mese i capi di governo approveranno criteri senza automatismi ed addolciti in modo da tenere conto non solo del debito pubblico, ma anche dell’indebitamento privato, dove l’Italia è tra i più virtuosi. Ma anche così è molto probabile che, per il nostro paese, i prossimi anni continueranno ad essere ricchi di manovre ammazza - crescita.

Il confronto tra USA ed Europa in tema di politiche economiche rivela un significativo paradosso: dove le autorità sono disposte a manovre espansive (USA) la domanda manca, mentre dove si sarebbe innestato un meccanismo di crescita (Europa), le autorità la strozzano con l’exit strategy.

Ben diversa, anzi, per certi versi rovesciata, pare la situazione nelle economie emergenti. Sia la Cina che il Brasile e l’India sembrano aver risolto elegantemente i problemi della crisi del 2008, mentre hanno recuperato appieno i ritmi di crescita precedenti la frenata.

Anzi, come testimonia il rialzo dei tassi da parte della Banca Centrale Cinese, la preoccupazione delle autorità di Pechino è quella di frenare le esuberanze e le pressioni inflazionistiche portate da una crescita nuovamente molto sostenuta e di diffondere i benefici dello sviluppo alle cospicue fasce deboli della popolazione. Brasile e India sono alle prese con un eccessivo afflusso di capitali stranieri, alla ricerca di rendimenti ed attratti dalle potenzialità di questi paesi, che genera impulsi inflazionistici alla domanda globale e spinge alla rivalutazione le loro valute.

Stiamo assistendo in diretta ai primi passi di un fenomeno epocale: il passaggio del testimone della crescita mondiale dai paesi occidentali alle nuove potenze emergenti. Un fenomeno che nei prossimi anni sposterà il baricentro economico del pianeta dal nord al sud e dall’Atlantico al Pacifico.

Un cambiamento che porterà necessariamente con sé profondi mutamenti nello scacchiere geopolitico mondiale. Gli USA paiono condannati a perdere la loro leadership, così come l’Europa l’ha persa da anni.

Nuove potenze si proporranno alla guida del pianeta, che probabilmente dovrà ricercare una convivenza non più regolata dalla super-potenza americana, ma basata su più difficili, ma forse più promettenti, equilibri multipolari.

Sto parlando di un fenomeno che impiegherà anni ad esplicarsi e lo farà tra conflitti (speriamo pochi) e mediazioni. Ma che ora cominciamo a vedere chiaramente come inevitabile.

Per stare più vicini all’attualità, non è ancora chiaro se il ripristino della crescita nei paesi emergenti riuscirà a compensare fin da quest’anno la fiacchezza di USA, Europa e Giappone (l’eterna delusione).

 

 

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