Analisi sui mercati finanziari a cura di Pierluigi Gerbino

Docente di Economia - 4° class. al Campionato Italiano di Trading Top Trader 2000

 

Anno 2009  -  Dicembre

 

 

 

 

 

BOLLA O NON BOLLA ?

 

COMMENTO

 

Ci sono date, episodi ed immagini che con il loro straripante simbolismo segnano la storia per sempre. Il fermo immagine dell’aereo che esplode entrando dentro un grattacielo è la sintesi del nuovo capitolo di storia che è iniziato dopo quell’attentato. La faccia spaurita degli impiegati di Lehman che nel week-end del 13-14 settembre 2008 escono per sempre dai loro uffici con lo scatolone dei ricordi è l’immagine che ha caratterizzato il primo atto della crisi finanziaria peggiore del dopoguerra. L’immagine della penisola artificiale a forma di palma attorniata da un’aureola sabbiosa, emblema di Dubai, che in questi giorni abbiamo visto su tutti i giornali, verrà presto dimenticata o rimarrà nell’immaginario collettivo a rappresentare l’inizio del secondo atto della crisi finanziaria?

La richiesta, avvenuta mercoledi scorso, da parte del mega fondo sovrano Dubai World, di prorogare di 6 mesi la scadenze di debiti nei confronti di parecchie banche per l’ammontare complessivo di circa 59 miliardi di dollari, ha gettato nel panico il giorno seguente i mercati europei ed asiatici.

Il mercato americano si è salvato dall’ondata di emotività soltanto perché chiuso per la Festa del Ringraziamento, che così quest’anno ha aggiunto questo ulteriore ottimo motivo per festeggiarla.

Dopo l’ulteriore emotività del giorno seguente, i mercati asiatici ed europei hanno tentato il parziale recupero, confortati dal fatto che la riapertura di Wall Street ha mostrato preccupazioni non eccessive.

I giochi si faranno nei prossimi giorni, quando verranno divulgate maggiori informazioni su questa vicenda che per ora rimane abbastanza oscura nelle motivazioni e nelle dinamiche.

Rimane comunque fin da ora l’impatto simbolico del crollo di questo fondo sovrano, noto per aver nel suo carniere le faraoniche opere immobiliari che hanno fatto di Dubai una specie di Paradiso Terrestre, meta delle peregrinazioni sfarzose dei Vip di tutto il mondo, di cui troviamo sui giornali lunghi elenchi.

Casella di testo: Nessuno ha la sfera di cristallo. Le opinioni e le previsioni di questo report derivano dall’applicazione di tecniche di analisi e dall’esperienza diretta dell’autore. Si garantisce  scrupolo ed indipendenza nelle analisi. L’esattezza delle previsioni non può garantirla nessuno. Oltre le penisole artificiali a forma di palma, ricordo il grattacielo più alto del mondo, di oltre 800 metri, quasi ultimato, l’albergo a 7 stelle Burj Al Arab, a forma di gigantesca vela, con un campo da tennis in cima, sospeso nel vuoto, inaugurato 3 anni fa da una esibizione di Federer e Agassi, l’arcipelago artificiale “The World”, composto da 300 isolette create dal nulla aventi la forma in miniatura del globo terrestre, e vendute a vari vip, che possono così affermare di “comprarsi la Germania o l’Australia”. Per concludere con SkiDubai, la pista da sci nel deserto, che permette di sciare su vera neve dentro un gigantesco padiglione dove pure il cielo è finto, mentre fuori la temperatura raggiunge i 40 gradi all’ombra.

Tutto questa fiera delle vanità rischia di implodere nel nulla se quello che per ora è un pre-crack diventerà un vero fallimento e se si scatenerà l’effetto domino su altre istituzioni finanziarie simili a Dubai World.

L’aspetto etico della questione non richiede di aggiungere molto a quel che testimonia la grottesca ostentazione di sfarzo appena descritta. Debbo sinceramente affermare che questo contrappasso, se si limitasse a penalizzare i ricchi investitori che, come gonzi, si sono fatti attirare dalle sirene del lusso smodato, mi vedrebbe del tutto indifferente e magari un pochino contento.

Ma purtroppo c’è il rischio che lo scoppio della bolla del deserto venga ancora una volta pagato da chi tutto questo lusso lo può vedere solo dalle webcam su internet.

Perché ora il problema è: questa vicenda è la classica tempesta in un bicchier d’acqua, destinata ad essere assorbita in pochi giorni nel nuovo paradigma della ripresa oppure è un terremoto destinato a propagare uno tsunami paragonabile a quello dei subprime, che ha raso al suolo le borse nel 2008?

E’ presto per dirlo. Come sempre a posteriori tutto viene spiegato alla perfezione. A priori però le istituzioni di controllo non riescono mai a prevedere un bel nulla e si limitano, sempre e comunque,  a sdrammatizzare, salvo poi, a buoi scappati, affannarsi a chiudere le stalle ed a giustificarsi  con l’imprevedibilità degli eventi.

Anche stavolta il week-end è stato utilizzato per spargere rassicurazioni. Cosa vuoi che siano 59 miliardi (che però diventano un centinaio se consideriamo il debito dell’intero stato Emirati Arabi Uniti)? Il “sistema” tra il 2008 e il 2009 ha sopportato ben altro. La Fed per salvare le banche USA ha iniettato 2000 miliardi di liquidità, il governo Obama ha fatto altrettanto con il debito pubblico. 100 miliardi in più non sono nulla.

Abbiamo poi avuto la rassicurazione che le banche più esposte sono inglesi, ma tutto sommato in modo non tragico, mentre nessuna banca italiana è coinvolta. Anche stavolta la tradizionale prudenza italica sembra averci salvati.

Inoltre si confida che il cugino ricco Abu Dhabi non vorrà lasciare i nababbi indebitati di Dubai in mutande senza intervenire. Infatti, se da un lato lo stato degli Emirati ha ricordato che non vi è garanzia statale sui debiti di Dibai World, dall’alltro la banca centrale di Abu Dhabi ha dichiarato che sosterrà le banche locali con iniezioni di liquidità. Per cui senbra esserci il via libera a procedere ala ristrutturazione del debito del fondo sovrano per evitarne l’insolvenza.

Ci sono probabilità che la tempesta che sembrava provenire dal deserto finisca per rappresentare un semplice colpo di vento. Ma non sottovaluterei il valore segnaletico dell’evento, in un momento in cui anche altri dubbi di natura “reale” stanno facendo riflettere sulla solidità della ripresa.

Troppe cose infatti non quadrano.

Innanzitutto il fatto che la finanza “moderna” è fatta in gran parte fuori bilancio, con sofisticati strumenti derivati e cartolarizzati, che non è affatto facile stimare e tenere sotto controllo. Per cui non mi sorprenderebbe, nei prossimi giorni in cui emergeranno i dettagli, apprendere di ulteriori ed inattesi coinvolgimenti del fallimento, con l’ammontare del crack rivisto al rialzo a più riprese, come già accaduto più volte in passato in eventi analoghi.

Un’altra delicata questione è che questo fondo rappresenta l’emblema dell’edilizia commerciale, e l’aver descritto il suo fallimento come il colpo di coda finale della precedente crisi non mi convince affatto. Qui non si tratta di insolvenze delle famiglie soffocate dal mutuo subprime. Questo potrebbe essere il primo anello di una catena di tracolli dell’edilizia commerciale, di quelle grandi opere messe in piedi in tutto il mondo quando si pensava che il PIL dovesse crescere all’infinito e persino le economie mature (Italia a parte, ovviamente) avevano tassi di crescita da paese emergente. A Dubai è stato raggiunto il parossismo della vanità delle grandi opere. Ma non è certo l’unico angolo del mondo in cui negli scorsi anni l’euforia speculativa ha spinto ad investire al di là del buon senso alla ricerca di facili guadagni. Illusioni che la recessione ha giustiziato e che potrebbero ora presentare anche altri salati conti, magari da altre parti, se l’economia continuerà a languire.

Un altro aspetto che rende delicata la questione è lo stato, che, con un eufemismo, potremmo definire “ancora molto convalescente” del sistema finanziario mondiale. Qualche giorno fa il Fondo Monetario Internazionale nella sua ultima pubblicazione (Global Financial Stability Report) ha stimato che le svalutazioni che non sono ancora emerse nel sistema bancario americano ammontano a circa il 40%. Peggio stanno le banche europee che hanno ancora un 60% di perdite sommerse. Il dato complessivo ci dice quindi che oltre metà delle perdite sono ancora da emergere, a due anni dallo scoppio della crisi subprime. Nei giorni scorsi anche il governo tedesco ha fatto stime simili sulle banche tedesche.

Queste notizie non sono per nulla inattese da chi ricorda che le nuove regole contabili introdotte ad inizio 2009 hanno consentito di nascondere legalmente la polvere sotto il tappeto. Ma hanno certamente sorpreso chi si è lasciato sedurre dalle quotazioni in recupero delle banche e dai bilanci presentati in questi mesi, pieni di perdite nascoste e di utili da trading. I giornali, che da mesi ci indottrinano sul “recupero di fiducia” e sull’uscita dal tunnel, non sanno come gestire simili notizie, che contraddicono il clima di esaltazione collettiva di fine recessione.

L’eventuale crack di Dubai World rischia pertanto di essere il primo tassello di un “ritorno alla realtà” piuttosto scomodo per molti illusi.

Giova ricordare che le munizioni a disposizione delle autorità per fronteggiare una seconda ondata di crisi bancarie sono assai scarse, avendo le banche centrali già dato fondo a tutto l’armamentario tradizionale (tassi a zero n Usa e all’1% in Eurolandia) e a quello non convenzionale (il quantitative easing non si può più espandere per non creare crisi di fiducia nelle stesse banche centrali), mentre

i governi hanno già fatto esplodere il debito pubblico e si avviano ad imitare l’esperienza giapponese.

Ancora una volta è necessario quindi lanciare un significativo “warning”.

Come in passato è possibilissimo che i mercati ignorino i segni premonitori di crisi e procedano imperterriti a gonfiare bolle fino al raggiungimento del prossimo baratro.

I grafici d’altra parte non ci dicono ancora che il trend rialzista di Wall Street è finito. Anzi, nonostante le paure europee, l’indice SP500 ha chiuso il mese di novembre assai vicino ai suoi massimi annuali. Non è quindi affatto escluso che in dicembre possa testare quella forte resistenza di 1.120 punti che ho da tempo identificato come l’obiettivo finale del rialzo in corso, finora non ancora raggiunto.

Ma tutto questo puzza di dejà vu. Come quando nel 2007 qualcuno (non eravamo molti, ma qualcuno c’era) avvisava che l’euforia dei mercati non trovava motivazioni nella situazione economica, ma questi, con un’alzata di spalle, continuavano a registrare nuovi massimi ed i guru sbeffeggiavano i “gufi”. Come sia andata a finire nell’anno seguente lo abbiamo visto.

 

 

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